Avevamo momentaneamente interrotto la lettura del libro di Celine Lafontaine, L’impero cibernetico, per addentrarci nel testo di Henri Lefebvre Contro i tecnocrati in cui per la prima volta, in maniera diretta e affrontando il problema di petto, è stata mossa una critica radicale alla nuova ideologia nata dalla cibernetica, che diventava di gran moda negli anni di poco precedenti il ’68, tra i vari buffoni di corte e di cortile, soprattutto quello della Sorbona. Un pensiero fintamente sovversivo e realmente integrato, come dimostra la presenza costante di quei loschi figuri – tra api regine, api operaie, operaiste e post-operaiste… fino ai fuchi foucaultiani – negli apparati, o dovremmo dire dispositivi, dominanti: ministeri, università, centri di ricerca, case editrici, riviste e televisioni di regime, gruppi e ideologie di potere e contropotere…
A questo punto perciò riemergiamo dalle acque profonde della storia, per riportare a galla le perle della critica e provare a declinare nel presente quanto scoperto. Pensiamo che mai come oggi sia opportuno, e fondamentale, smascherare e gettare la maschera, schierarsi e prendere una posizione. Situarsi, come dicono i post-umani.
Dunque, procediamo con lo SMASCHIERAMENTO, iniziando a elencare una serie di punti problematici che a nostro avviso vanno assolutamente affrontati, pena il (ri)piombare della cosiddetta “corrente radicale”, sia essa autonoma o anarchica, nella brodaglia post-moderna che non molti anni fa abbiamo combattuto sotto il nome e le pratiche di Tute Bianche e Disobbedienti.
Primo: il progetto di vaccinare “tutto il mondo”, come dice Draghi, non trova opposizione neppure nel cosiddetto movimento – che in realtà bisognerebbe iniziare a chiamare immobilismo militante. Anch’essi, come una qualunque spiaggia o parrucchiere, sono prontamente tornati alla normalità? Chi sopravvivrà, vedrà…
Spizzichi dallo spezzone dello spezzatino sociale, Torino, 1 maggio 2021
Wu MingNOT AV: dalla stessa parte della barricata?!?!?!
Volare con la Comune PostAnalcolica SPACEFAT
Cronache dal XX secolo – “La conquista dello spazio” (Sergio Spina, testo Andrea Barbato – Rai, 1965)
BERGTEUFEL, Il mondo a distanza: Su pandemia, 5G, materialità rimossa del digitale e l’orizzonte di un controllo totalitario – Ottava parte: “Spirali di dipendenza e isolamento”
Proseguendo nel libro Contro i tecnocrati, e saltando per ragioni di spazio alcuni capitoli in cui si sofferma sulla critica alla sociologia, su felicità, vita quotidiana e costruzione di situazioni, Lefebvre giunge ad affrontare il rapporto tra socialismo e utopia, e i miti della rivoluzione. «Tra le persone di sinistra, le più realiste pensano di attuare i progetti della tecnocrazia: pianificazione, razionalizzazione dall’alto della vita sociale, organizzazione in nome della Nazione e dello Stato. Come se questa organizzazione non fosse stata già raggiunta dal capitalismo! (…) Come novità, oggi c’è la seguente alternativa: o questo programma o il nichilismo. O questo programma oppure la fine del pensiero marxista. (…) Se nei grandi paesi industriali oggi si tratta di “padroneggiare la tecnica” è innanzitutto perché la tecnica si è elevata a potenza autonoma, a forza esterna e coercitiva, a sfida alla terra. “Padroneggiare la tecnica” nel senso di un’epoca per noi conclusa, proprio come fanno in maniera perfetta gli esploratori dello spazio.»
Dopo aver analizzato a fondo il ruolo della parola scritta e di quella orale, sottolineando come quest’ultima abbia accompagnato i progetti rivoluzionari contro le leggi e le norme spesso stabilite dalla prima, che nell’epoca del primato assoluto della linguistica ha assunto un carattere “terroristico”, Lefebvre conclude il capitolo in questi termini: «La “società” pare chiudersi di fronte a noi, attorno a noi. Il possibile pare limitarsi, ostruirsi. A questa chiusura contribuiscono sia le scienze parcellari (economia, psicologia, sociologia, addirittura storia) sia i concetti come quelli di struttura e sistema che analizzeremo a breve. Questa chiusura è però soltanto apparente. Nessuna definizione di società la coglie appieno né la esaurisce, nemmeno quella che pensiamo sia la migliore (“società burocratica di consumo pilotato”). Le forze della protesta e della contestazione non smettono mai di agire. (…) L’effervescenza è continua. Per lo meno questa società cambia e avanza verso una meta che non conosce: non sa dove va, ma comunque va. È la “fuga in avanti”. Le barriere crollano, un giorno o l’altro. Pericolosamente, il possibile si riapre, come la strada, attraverso disagi e comodità. Dove va questa società? Noi proponiamo un obiettivo, un percorso, una strategia. E una teoria del possibile.» (Henri Lefebvre, Passatismo, utopismo, socialismo)
Il Progresso sinistro – Togliatti/Berlinguer/Burgio
Il mondo a distanza: Su pandemia, 5G, materialità rimossa del digitale e l’orizzonte di un controllo totalitario – Settima parte: “Turchi meccanici”
IL BATTITO ININTERROTTO DI GENOVA (II) – Radiodramma de LaNavedeiFolli sui fatti del luglio 2001. Personaggi e interpreti: Cobas di Piazza Paolo da Novi / Vittorio Agnoletto / Vari TG / Emilio Fede – nel ruolo dei buoni. Claudio Albertani (Paint It Black), Tabularasa e Conflict – nel ruolo dei cattivi.
Comunicato di Fabiola
Riferimenti Ep 2.30
Negativeland, The Answer Is… (Points, 1981)
Heilung, Traust (Futha, 2019)
Francesco Turrisi, Variazioni sopra la Follia + Passamezzo Antico (Sì Dolce è il Tormento, 2009)
Bernard Parmegiani, Points Contre Champs (De Natura Sonorum, 1978)
Abe Duque & Dietrich Schoenemann, 88-30 (FACIL, 1995)
La prima parte di Posizionamento: Contro i tecnocrati di Henri Lefebvre, libro pubblicato in francese nel 1967 e mai tradotto in italiano, intitolata “TECNICITÀ E QUOTIDIANITÀ. Frammenti di un manifesto del Possibile”, prosegue con alcune riflessioni sull’oggetto-re di allora, l’automobile, per approdare a uno dei temi più cari all’autore de Il diritto alla città, l’urbanistica. Egli dichiara più volte di essere favorevole al progresso, dunque non si può certo bollarlo come un retrogrado reazionario; ciò che gli interessa è il trattamento riservato all’essere umano, e nel caso della città sottolinea come le si stiano sventrando per lasciar spazio ai flussi del traffico. Per Lefebvre, «che ciò si definisce “urbanesimo” altro non è che un insieme troppo coerente – un sistema – di permessi e limitazioni che servono a mantenere un’attività essenzialmente al livello dello stretto minimo tecnico. Tutto ciò riducendo una situazione e un’attività, l’abitare, a una realtà brutalmente materiale, l’habitat.»
Al termine di questo secondo capitolo, “I miti della tecnocrazia”, Lefebvre arriva all’argomento del titolo presentandoci una riflessione che è, anche e forse ancora oggi, di drammatica attualità.
«Pare che le persone cosiddette di destra, o “reazionarie”, pensano che ci siano due specie di tecnocrati, quelli buoni e quelli cattivi, quelli benefici e quelli pericolosi; questi ultimi sarebbero “di sinistra” o addirittura di obbedienza comunista. Avrebbero in serbo una riserva di idee perverse, distruttrici della sana tradizione, dei souvenir di una volta, delle norme della società francese, sotto la copertura delle tecnologie. Peraltro è possibile che questa tendenza di destra si attenui. Anche se la sinistra attuale morisse e se l’ideologia di destra come tale scomparisse, la “destra”, invece, rimane. Le persone di destra restano ciò che erano: sono quelle che restano tale quali erano. Hanno perduto da tempo la capacità di creare ideologie e miti. La “sinistra” le ha sostituite in questa attività, sebbene di questi tempi poco produttivi questa sinistra sogna il suo passato e non riesce nemmeno a fare autocritica. Riconoscibile anche se mascherata, la vecchia “destra” è lì pronta a raccogliere le macerie dell’ideologia di sinistra. L’immagine del tecnocrate proviene da quest’ultima. La sinistra pare convinta che il regno della tecnica verrà grazie a lei. A suo dire, gli uomini di destra che promettono l’efficacia tecnica non vogliono e non possono mantenere le loro promesse: pianificazione, soddisfacimento dei bisogni sociali, razionalizzazione della vita sociale, internazionale e nazionale, ecc. Sta alla sinistra organizzare l’ingresso nella terra promessa. Le due “tendenze” sono nei fatti d’accordo su una rappresentazione: il mito della tecnocrazia. Motivo per cui niente assomiglia di più all’immagine di un “tecnocrate di sinistra” quanto quella di un “tecnocrate di destra”. In quanto ai tecnocrati reali, questa confusione gli permette di manovrare, di tendere da una parte, poi dall’altra, di superare a modo loro l’opposizione (secondo loro antiquata) tra sinistra e destra, in nome del primato della tecnica. Abbiamo parecchie buone ragioni per pensare che nemmeno la sinistra cosiddetta “rivoluzionaria” o “comunista” sfugga al mito della tecnocrazia. È perfino sensibile, a causa dell’influenza sovietica, al prestigio della pianificazione autoritaria, e a certe “sovra-determinazioni” ideologiche (il dogmatismo nell’interpretazione marxista).
Sulla tecnica in sé, possiamo essere certi che simultaneamente:
a) tende a chiudere la società e a bloccare l’uomo (nello specifico con la cibernetica, che porta a termine il “cosmo” della quantità e la quantificazione del cosmo!). La tecnicità diventa ossessiva e di conseguenza determinante. Invade il pensiero e l’azione, a cui detta la linea;
b) minaccia di distruzione questo mondo ostruito, questo cosmo chiuso, dove l’unico possibile si riduce al funzionamento automatico e alla strutturazione di un equilibrio perfetto; depreda il mondo e può arrivare fino in fondo a queste predazioni con l’annientamento nucleare.
c) apre al Possibile, a patto che sia investito nel quotidiano.
Dunque essa [la tecnica] è ciò che chiude e che apre la via d’uscita, che oscura oppure scopre l’orizzonte. In quanto all’ideologia, quella dei tecnocrati, quella dei sociologi che parlano della società tecnica, blocca l’insieme; maschera le contraddizioni (nello specifico quella tra la chiusura di una società immobilizzata dalle strutture di equilibrio, e l’aperura di una società verso il possibile attraverso la contestazione e l’effervescenza). Cosa ci vuole per dissipare le ideologie e i miti? Tempo. Delusioni. Esperienze e prove. Contrattacchi teorici. Audacia e pazienza, virtù rivoluzionarie. Se è vero che nel corso del secolo l’etica e l’estetica del lavoro, l’ideologia del lavoro e del lavoratore, la filosofia dell’attività produttiva e della creazione ci hanno ingannato, se è esatto che c’è stato uno spostamento massiccio di affettività e di attività (senza parlare degli spostamenti materiali) verso i divertimenti, se è giusto affermare che questi divertimenti preparano nuove delusioni e frustrazioni, verso cosa si andranno ben presto a rivolgere le attenzioni e le speranze?» (Henri Lefebvre, I miti della tecnocrazia)
La Nave dei Folli è tornata su Radio Blackout (martedì, ore 12-13), l’episodio 28 è andato in onda martedi 4 maggio.
Non è chiaro il motivo della settimana di sospensione; inoltre, dopo la redazione di Blackout del 19 aprile, La Nave dei Folli si è ufficialmente tolta dalla stessa e si limiterà ad inviare la puntata ogni martedì.
Domani, martedi 11 maggio, andrà in onda il 29esimo episodio.
Appena terminato di montare l’episodio siamo venuti a conoscenza di un triste fatto: proprio mentre la Repubblica italiana abolisce (nel 2021!) la censura cinematografica, la redazione di Radio Blackout ha “sospeso” la nostra trasmissione (assieme ad un’altra, “Spessore“) pare per blasfemia. A presto aggiornamenti.
Celine Lafontaine conclude il passaggio del suo libro dedicato alla polemica contro il cyber-strutturalismo lanciata da Lefebvre ricordando come quest’ultimo, con grande anticipo sui tempi, punti il dito contro il trionfo della macchina, «l’ossessione del comunicabile» e la riduzione della soggettività a informazione. Oltre ad associare a livello teorico lo strutturalismo alla cibernetica, il ritratto che abbozza del cybernantropo in un certo senso anticipa il sistemismo e la seconda cibernetica che si affermeranno con forza a metà degli anni ’70.
Per Lefebvre «il cybernantropo si definisce come un organismo complesso che obbedisce a leggi semplici (sforzo minimo, economia, ecc.) e dispone di un sistema integrante e integrato di sistemi parziali autoregolatori con cui costituisce un tutt’uno (il sistema nervoso, quello osseo, ghiandolare, digestivo, respiratorio, ecc.)». Antenato del cyborg e del post-umano, il cybernantropo che continua a diffondersi in Occidente costituisce, secondo Lefebvre, una concreta minaccia per la specie umana.
Ma ora allontaniamoci di nuovo dal cammino di Lafontaine e addentriamoci nel testo di Lefebvre, partendo dal primo capitolo di Position: contre le technocrates.
«Da qualche tempo è possibile che nella stampa vi siate imbattuti in un’espressione curiosa, accompagnata da commenti non meno sorprendenti. Dei signori intelligenti e competenti vi spiegano come la produzione nel suo insieme trarrà beneficio dalle ricerche applicate a razzi e missili. È chiaro che i dispositivi più potenti o i meglio miniaturizzati saranno sempre riservati alle aziende più grandi: esplorazione dello spazio, distruzione nucleare. Eppure qualche “ricaduta della tecnica” passerebbe inevitabilmente nell’industria che lavora per i consumatori.
Il tetro humor di questo parallelismo tra “ricadute” della tecnicità d’avanguardia e le “ricadute” delle particelle radioattive avrà forse impedito a queste riflessioni di ricevere quell’accoglienza che manca di rado alle idee che passano per nuove? Senza aver sollevato proteste, la formula è scomparsa; legittima una situazione difficile da accettare fin da quando è stata formulata.
Noi (noi chi? Ciascuno degli uomini responsabili oppure no? Per il momento lasciamo da parte la questione…), gettiamo nell’abisso strabilianti risorse in termini umani, di mezzi materiali, ricchezze e conoscenze. Con quale obiettivo? Per preparare l’arma assoluta e per constatare che la Luna è un mucchio di sassi. L’avventura planetaria, interplanetaria, galattica inebria le genti della Terra, affascinandole. Essa maschera loro al tempo stesso il pericolo, il terrore in cui vivono e l’abbandono. Perdono di vista l’umile superficie del globo, tranne quando i loro interessi ce li riportano. In entrambi i casi, trascurano ciò che Nietzsche chiamava il Senso della Terra. Ne hanno perso il contatto. Questi nuovi poteri – l’avventura, il prestigio – sono già stati delegati a un’infima minoranza, i Cosmonauti, i Saggi dello spazio, simili a delle divinità dell’Olimpo, a degli Idoli e a degli uomini che detengono il potere. Rinuncia e abdicazione che s’aggiungono alle molte altre, testimonianze di una rivoluzione possibile e finora abortita. La società nel suo insieme, coscienza e rapporti sociali, non ottiene un principio di sviluppo dalle sue opere più mirabili. La vita propriamente sociale stagna, regredisce, sprofonda nella palude del quotidiano, sotto cui si agitano dei miraggi “culturali”. Nel frattempo la produzione materiale si accresce e la tecnica si perfeziona. Questa stravolge i suoi stessi quadri: i suoi risultati si allontanano nella stratosfera per poi ritornare verso la terra nel modo più minaccioso. E noi beneficiamo solamente di qualche “ricaduta”…
Ciò significa che bisogna tarpare le ali all’immaginazione, all’avventura cosmica? Che bisogna riportare le potenze dell’azione e della conoscenza, oltre al potere politico, al livello della trivialità, del buon senso e del “benessere”? No. Eppure un ordine di priorità s’impone.
È strano che nessuno abbia proclamato pubblicamente, foss’anche in modo poco altisonante: “Nessuna prodezza cosmica fintanto che sulla terra milioni di esseri umani patiscono la fame! Nessuna risorsa colossale gettata al vento dello spazio finché non siano stati risolti i problemi di città e campagne terrestri!” Che tale ordine di priorità non sia stato nemmeno enunciato, che nulla di tutto ciò figuri nei programmi politici che si vogliono audaci, non è forse il sintomo più grave della crisi di quello che continuiamo a chiamare “socialismo” e di quello pseudo-concetto che non possiamo più sostenere né rinnegare, ovvero l’umanesimo? Le masse umane che si lasciano affascinare dalle prodezze spaziali rivivono, in condizioni nuove, un fenomeno religioso. Forse riscoprono, in piena incoscienza (etnologi, antropologi, sociologi, psicologi trascurano questa ammirevole incoscienza, mentre al tempo stesso prendono in considerazione con tanto diletto “l’inconscio”), il fatto religioso per eccellenza. Queste masse sacrificano. Cosa sacrificano? Il loro passaggio dal compiuto al possibile, dalla loro condizione alla felicità. La loro ascensione. A cosa? Davanti a quale altare si consuma il sacrificio? Nell’infinito cosmico percepito confusamente, che lo si chiami o meno “Dio”. E cosa si sacrifica? Vittime designate, preparate: come presso gli Aztechi queste vittime adorate – da quando si incamminano verso la cerimonia a quando ne ritornano – sono elevate al rango di divinità. Gli eroi raggiungono nella ridicola grandezza i Cantori, le Vedette, i Potenti. Masse gigantesche s’immolano con le loro delusioni, privazioni e frustrazioni, espiando le loro più giuste richieste sull’altare di divinità inaccessibili, mediatrici tra la terra e l’universo. Il rito non si svolge più, sanguinoso, sui gradini dei templi del Sole. Missili e rampe di lancio hanno sostituito gli splendidi monumenti. Non si strappa più il cuore alle vittime. È alle folle di spettatori che vengono strappati i sensi. La tecnicità più stupefacente s’accompagna così a una strana religiosità. Assistiamo alla crescita di una religione del Cosmo che traspare tanto dal feticismo per i segni zodiacali quanto dall’adorazione per i cosmonauti. Essa ha come rivale una religiosità dell’Eros non meno affascinante e delirante. D’altronde è chiaro che il vecchio termine “alienazione” (religiosa, ideologica, politica) è debole per descrivere questa situazione al tempo stesso mostruosa e normalizzata, intollerabile e tollerata, opprimente ma che passa inosservata.
Abbassiamo i nostri occhi e il nostro pensiero su ciò che ci circonda. Non lasciamo che il nostro sguardo si smarrisca. Ritorniamo alla superficie, quella della terra, quella dei nostri corpi. E da lì proviamo a ridiscendere, non verso le profondità abissali ma verso la carne e il sangue. Facciamoci passare la sbornia. Basta con la fanta-umanità (anche se la fantascienza ha molto da insegnarci). Prendiamo in considerazione il nostro micro-cosmo. Sta male. Dietro un’apparenza sfavillante, sta andando in rovina. Non soltanto in Asia e Africa, ma proprio intorno a noi e sotto la nostra pelle. Tutto procede come se i padroni del Cosmo dovessero, un giorno non troppo lontano, abbandonare questa nave che affonda – la Terra – per un pianeta riuscito meglio, il tutto tra gli applausi dei naufraghi. Tutto procede come se la specie umana ammettesse il proprio insuccesso e si dichiarasse oramai perduta, assieme alla sua dimora, la Terra. Se l’umanità abortisce, se si moltiplicano i segni del grande Fallimento, sta al pensiero lucido trarne la lezione.» (Henri Lefebvre, Le ricadute della tecnica)
Cronache dal XX secolo – Seconda puntata: “La conquista dello spazio”, di Sergio Spina, testo Andrea Barbato (Rai, 1965)
Agricoltura e Droni (Tg3 Pixel, 17/4/2021)
Il mondo a distanza: Su pandemia, 5G, materialità rimossa del digitale e l’orizzonte di un controllo totalitario – Quinta parte: “Il modo più sicuro per prevedere un comportamento è predeterminarlo”
Dunque, per Foucault, dietro la morte dell’uomo e l’annichilimento del significato si delinea l’onnipotenza del sistema, e in questa enfasi del sistema non si riconosce forse l’impronta del modello cibernetico sul suo pensiero? È la questione sollevata dal sociologo francese Henri Lefebvre, ex membro del partito comunista francese ma fuoriuscito nel 1958, allora figura importante del pensiero radicale francese e non solo, nel suo libro del ’67 Position: contre le technocrates. Vers lecybernanthrope.
Secondo Lefebvre, la «valorizzazione del Sistema è un fenomeno sociologico e la negazione della storia un fenomeno storico.» Criticando «l’ideologia dell’inconscio» e la cancellazione del soggetto a profitto del sistema, accusa lo strutturalismo di promuovere un conformismo generalizzato nei riguardi del potere tecnocratico. Frutto di una «ideologia dell’equilibrio», le «strutture avallate da un certo strutturalismo» sono, né più né meno, quelle della società esistente.
Risolutamente ostile al primato accordato al linguaggio, a scapito della storia e del politico, si fa beffe del rigore scientifico rivendicato dagli strutturalisti; ma è l’aver individuato un legame diretto – tanto ideologico quanto teorico – tra costoro e la cibernetica che si rivela ricco di significato. Lefebvre considera sì lo sviluppo dello strutturalismo come un’importazione concettuale americana, resa possibile perché «molti dei social scientist hanno due patrie» – come Jakobson, Levi-Straus, Foucault e Lacan. Ma non come un semplice germoglio della cibernetica, una fredda ripetizione dei suoi concetti di codice, sistemi ed equilibrio: e per designare l’essere normalizzato e tecnicizzato promosso da questo nuovo paradigma, Lefebvre conia il termine cybernantropo.
Sieg Heil Elon! Nazi Musk for Future (Tg3 Pixel, 17/4/2021 – Orrore Neuralink: Monkey MindPong)
DADAUMPA – Varietà di intrattenimento politico groucho-marxista, a cura della sezione italiana dell’Internazionale DadaUmpista (Première épisode – in anteprima nazionale i primi due singoli mixati dal trapper disobbediente Wumings 0: Artificialità intelligente e Il Sistema sec’èRN).
IL BATTITO ININTERROTTO DI GENOVA (I) – Radiodramma de LaNavedeiFolli sui fatti del luglio 2001. Personaggi e interpreti: Paolo Villaggio, Luca Casarini, Vittorio Agnoletto, Fausto Bertinotti, Grazia Francescato, marescialla Sbarbaro e maresciallo Nicoula – nel ruolo dei buoni. Detour e Conflict – nel ruolo dei cattivi.
MAD NEWS 24 – Il teleradiogiornale della Nave dei folli(4° episodio)
Prosegue Celine Lafontaine, sempre a proposito di Foucault: «Affermando, in La volontà di sapere, che “il potere non è un’istituzione, e non è una struttura, non è una certa potenza di cui alcuni sarebbero dotati (ma) è il nome che si dà ad una situazione strategica complessa in una società data”, egli partecipa alla logica relazionale propria del modello cibernetico. Non solo il potere ne risulta depoliticizzato, ma il politico diventa un altro modo di fare la guerra; e poco oltre aggiunge come, in questo gioco di relazioni strategiche, lo scarto tra guerra e politica si traduca in una differenza di codifica dei rapporti di forza.
È la stessa logica che anima i rapporti tra potere e resistenza: “Come la trama delle relazioni di potere finisce per formare uno spesso tessuto che attraversa gli apparati e le istituzioni senza localizzarsi esattamente in essi, così la dispersione dei punti di resistenza attraversa le stratificazioni sociali e le unità individuali.” Canalizzato attorno al cosiddetto “dispositivo della sessualità”, il biopotere evidenziato da Foucault annuncia in modo quasi profetico l’avvento dell’era del cyborg e del rimodellamento biotecnologico dei corpi. Si può dire che, in un certo senso, Foucault partecipa teoricamente alla logica che denuncia, rinchiudendo il soggetto nelle reti di relazioni discorsive.
In un’intervista del 1966, Foucault colloca il suo approccio al cuore della rottura epistemologica già avvenuta «il giorno in cui Lévi-Strauss per le società e Lacan per l’inconscio ci hanno mostrato che probabilmente il senso non è che una sorta di effetto di superficie, un luccichio, una schiuma, e ciò che ci attraversa in profondità, che ci preesiste, che ci sostiene nel tempo e nello spazio, è il sistema.»
La cibernetica – partorita appena una ventina d’anni prima nei laboratori militari americani, tedeschi, russi, inglesi, dopo essere stata allevata negli States, penetrando progressivamente nelle scienze sociali, e in parallelo esportata in Europa e soprattutto in Francia sotto forma di strutturalismo – col maturare degli anni ’60 è oramai diventata anche una questione politica. Seguendo il filo del discorso de L’impero cibernetico entra ora in scena Foucault, quindi lasciamo la parola a Celine Lafontaine.
«Michel Foucault dice in Archeologia del sapere: “Più d’uno, come faccio senz’altro io, scrive per non avere più volto. Non domandatemi chi sono e non chiedetemi di restare lo stesso…”. Nessun’altro più di lui ha incarnato in modo altrettanto clamoroso l’anti-umanesimo del modello strutturale, il suo rifiuto del soggetto. Inclassificabile tanto per i suoi spostamenti teorici quanto per la vastità degli argomenti affrontati, la sua opera resta comunque attraversata dallo spirito del tempo. Il ruolo predominante che in lui ha la guerra permette un primo accostamento con le origini militari della cibernetica. Profondamente segnato dall’esperienza bellica, dirà in un’intervista nel 1983: “Penso sia il punto di partenza del mio desiderio teorico”.»
«In lui la riflessione sulla guerra è fondamentale, motivo per cui la sua opera ruota attorno a concetti quali strategia, tecniche di potere, rotture, rapporti di forze…: depoliticizzato, decentralizzato e reso totalizzante, questo concetto di potere assomiglia stranamente a quello cibernetico di controllo. Dal macchinario trasparente e globalizzante del Panopticon al dispositivo della sessualità, al centro del suo percorso filosofico c’è sempre il potere, che è ovunque e da nessuna parte, tesse l’insieme dei rapporti sociali senza mai incarnarsi in un centro, quale ad esempio lo Stato. In La volontà di sapere il potere diventa la produzione molteplice di discorsi che modellano il corpo sessuato; e Katherine Hayles ci ricorda come l’idea di una costruzione discorsiva del corpo coincida con lo sviluppo della concezione cibernetica di corpo, appunto, come semplice supporto informatico.»
Chiudiamo oggi la lunga e doverosa parentesi con cui ci siamo allontanati dal filo conduttore del libro di Céline Lafontaine L’empire cibernetique (dalla macchina per pensare al pensiero macchina), per introdurre nel filo del discorso l’Internazionale Situazionista, e torniamo al punto in cui eravamo rimasti: la comparsa sulla scena di taluni pensatori, ahinoi tutt’oggi ancora in auge, che non solo hanno innestato nel pensiero filosofico e socio-politico europeo le idee cibernetiche di fine del soggetto e della storia, di morte dell’Uomo e onnipotenza del Sistema, ma hanno incarnato tanto il recupero delle istanze contestatarie (se non già rivoluzionarie) quanto il disinnesco delle loro potenzialità sovversive nell’acqua di colonia ideologica, sguazzando tra carriere accademiche e salotti culturali, tra partiti e gruppuscoli gauchistes.
Primo fra tutti, ma come vedremo in allegra compagnia della fitta schiera di king’s men, quel Michel Foucault ancora oggi letto, studiato, tracopiato, clonato e talvolta venerato da molte persone che, pensando di combattere il Sistema, si affidano alle armi sputate di chi ha contribuito se non ad edificarlo quanto meno a sostenerlo e rafforzarlo. Questa casta di sinistri intellettuali – già smascherati e bollati dall’I.S. come “cibernetici” (“Lettera a un cibernetico”, n° 9) – e chi ne ha raccolto il testimone, continua ancor oggi a replicare idee magniloquenti quanto insulse, eppure di gran moda e griffate con il marchio French Theory, dando una grossa mano al Sistema nel gettare un cortina fumogena di confusione sistematica, anche negli ambienti radicali: si va da biopolitica a decostruzione, dispositivo, razializzazione, cognitariato passando per attraversamenti, riappropriazioni culturali e molte altre parole d’ordine, tra cui il terribile post-anarchismo, che nascono già come parole dell’ordine. Di questo magma concettuale, lontano dal vissuto comune e terreno di specialismi, dove il linguaggio tortuoso dissimula l’aridità del pensiero, o meglio, la sua totale assenza, gli umani ancora desiderosi di rimanere tali e in incombente pericolo di estinzione – epistemologica e reale – non sanno proprio davvero che farsene.
Non a caso l’I.S., definitasi “corpo anti-gerarchico costituito da anti-specialisti”, aveva intuito già negli anni ’60 – remando in senso opposto al flusso degli enunciati dei pensatori integrati – uno dei fulcri della questione, e cioè che «tutti gli aspetti dello sviluppo tecnico nella società presente, e innanzitutto i mezzi cosiddetti di comunicazione, sono orientati verso il massimo isolamento passivo degli individui, verso il loro controllo tramite un “collegamento diretto e permanente” a senso unico, con le incitazioni senza replica diffuse da ogni sorta di leader.» (“La tecnica dell’isolamento”, n° 9).
E ora, all’arrembaggio, ciurma dei folli! A dritta contro il vascello fantasma dei post-corsari: da spietati cannibali ne faremo un banchetto, e getteremo le loro ossa nel deserto della critica.
Non è nostra intenzione dipingere l’Internazionale Situazionista come la paladina della lotta contro il progressivo instaurarsi del predominio industrial-tecno-scientifico, dato che ha avuto – in particolar modo agli inizi – un approccio tutt’altro che luddista al problema della tecnica. Non nasconderemo perciò le sue contraddizioni. Già nel primo numero del bollettino dell’IS del giugno ’58, in I situazionisti e l’automazione Asger Jorn sottolineava: «L’automazione contiene due prospettive opposte: toglie all’individuo ogni possibilità di aggiungere qualcosa di personale alla produzione automatizzata (…) e nello stesso tempo economizza energie umane liberate massivamente dalle attività riproduttive e non creative.»
Posizione ribadita nel giungo ’60 sul bollettino n° 4, nel testo a firma redazionale intitolato Manifesto: «L’automazione della produzione e la socializzazione dei beni vitali ridurranno sempre di più il lavoro come necessità esterna, e daranno infine la libertà completa all’individuo. Liberato così da ogni responsabilità economica, liberato da tutti i suoi debiti e le sue colpe verso il passato e gli altri, l’uomo avrà a disposizione un nuovo plusvalore, incalcolabile in denaro perché impossibile da ridurre a misura del lavoro salariato: il valore del gioco, della vita liberamente costruita.»
Figlia del proprio tempo, la loro prospettiva rifletteva un ottimismo nei confronti del progresso della tecnica all’epoca rintracciabile – con rare eccezioni – un po’ dappertutto; eppure, al tempo stesso, l’IS manteneva uno sguardo lucido e critico sulle basi ideologiche, come sulle applicazioni pratiche, dell’incombente società informazionista, tanto nei paesi a capitalismo avanzato quanto nei regimi burocratici comunisti, nel campo del potere come tra le fila della contestazione. Sul bollettino n° 10 del ’66, infatti, Jean Garnault precisava: «La concezione cibernetica del superamento della filosofia va di pari passo con il suo sogno di ricostruire, sulla base della società dello spettacolo, il paradiso perduto delle società unitarie, arricchendolo di due millenni di progresso nell’alienazione sociale. Questi sogni rivelano il carattere sperimentale nascosto e mistificato di quelle società: esse non hai mai tratto la loro unità che dalla repressione. In un reale interamente ridotto al quantitativo, dominato integralmente dal principio di identità, senza che la minima particella di contestazione venga a minacciare il suo equilibrio, il vecchio sproloquio filosofico-economico diventerebbe infatti inutile. Queste fantasie trovano d’altronde talvolta un embrione di realizzazione pratica, sempre esemplarmente rivelatore. L’ospedale di Richmond, in Virginia, ha messo a punto una “Isola di vita” per grandi ustionati. Si tratta di una gigantesca bolla di plastica tenuta libera da ogni germe. All’interno gli ustionati, dopo la completa decontaminazione, sono sistemati in un’atmosfera presterilizzata. “Nessuna claustrofobia: l’Isola di vita è trasparente”, scrive Paris Match. Aspettando che un conflitto nucleare fornisca a quest’opera filantropica i clienti che si merita, questa società edifica l’immagine delle condizioni che essa impone: la sopravvivenza nell’isolamento controllato.» (Le strutture elementari della reificazione)
Vaccelerazione (La recherche en vitesse, la recherche de vitesse, tradotto da Mutation (ce que signifie accélérer), Pièces et main d’oeuvre, 22 febbraio 2021). Tratto da IL ROVESCIO – cronache dallo stato d’emergenza.
The Orkustra, Flash Gordon e Freeform Improvisation (While Wat) (Adventures In Experimental Electric Orchestra From The San Francisco Psychedelic Underground 1966/67, 2009)
Mattarelli e Draghi alla giornatadellamemoria18marzo; cacofonie; Crozza su Draghi
Albert Ayler, Drudgery, Music Is The Healing Force Of The Universe (1969)