Episodio 5.38

Episodio 5.38

 

 

Sommario 5.38

  • Una premonizione: Dr Tedros, direttore generale OMS (22/7/2022)
  • PER NON DIMENTICARE: Vaccinate!
  • Erwin Chargaff, INGEGNERIA UMANA, ECOLOGIA DELLA MORTE – TESTO (Presentazione dell’ultimo opuscolo di Chargaff pubblicato da istrixistrix: ANFISBENA)
  • OLIMPIADI DI PARIGI: Una delegazione inattesa (Rivendicazione del sabotaggio delle linee dell’alta velocità TGV in occasione della cerimonia di apertura dei Giochi olimpici, 26/7/2024) – TESTO
  • Su un sabotaggio olimpionico

 

Riferimenti 5.38

  • Rajery, Ballaké Sissoko, Driss El Maloumi, 3MA (3MA – Madagascar Mali Maroc, 2008)
  • San Francisco Gay Men’s Chorus, Vaccinate! (22/5/2021)
  • Caravan, Can’t Be Long Now / Francoise / For Richard / Warlock (If I Could Do It All Over Again, I’d Do It All Over You, 1970)
  • Caravan, To Catch Me A Brother / Subsultus / Debouchement / Tilbury Kecks (Waterloo Lily, 1972)
  • Muttley e Dick Dastardly, Medaglia medaglia
  • Vangelis, Titles (Chariots of Fire, 1981)
  • Harmonie Echo du Grenand, Hymne Olympique (Harmonie de Grenoble) (2017)
  • Jacques Brel, Le Diable (ça va) (1954) – TESTO
  • Ολυμπιακός Ύμνος (Inno olimpico)
  • Gary Westwood (arrangiamento), Olympic Hymn di Spyros Samaras

Episodio 5.37

Episodio 5.37

«Quest’uomo del futuro, che gli scienziati pensano di produrre nel giro di un secolo, sembra posseduto da una sorta di ribellione contro l’esistenza umana come gli è stata data, un dono gratuito proveniente da non so dove (parlando in termini profani), che desidera scambiare, se possibile, con qualcosa che lui stesso abbia fatto. Non c’è motivo di dubitare della nostra capacità di effettuare uno scambio del genere, come non c’è ragione di dubitare del nostro potere attuale di distruggere tutta la vita organica sulla terra. La questione consiste solo nel vedere se vogliamo servirci delle nostre nuove conoscenze scientifiche e tecniche in questa direzione, ed è una questione politica di prim’ordine, e perciò non può essere lasciata alla decisione degli scienziati di professione e neppure a quella dei politici di professione.» (Hannah Arendt, Prologo a Vita Activa. La condizione umana [1958], Bompiani, Milano 1964, pp. 2-3)

L’Impero avanza dietro la maschera della sua ineluttabilità. Dal pessimismo politico di Norbert Wiener allo strutturalismo di Lévi-Strauss, dal nichilismo postmoderno al culto del cyberspazio, dal modello della complessità all’imaginario del postumano, l’ineluttabile è l’orizzonte del pensiero del paradigma cibernetico. Di fronte a un simile fatalismo, si giunge a credere che il destino dell’umanità sia completamente tracciato dall’evoluzione cibernetica e dalla lotta contro l’entropia. Ideologia della fine delle ideologie, il paradigma cibernetico esce dal quadro politico delle rappresentazioni moderne per immergerci in una cosmogonia informatica in cui l’essere umano non è né il centro né la finalità, ma semplicemente un livello superiore di complessità. È possibile immaginare un’alienazione peggiore del confondere i nostri dispositivi tecnici con l’ordine cosmico?

L’epoca moderna che si è inaugurata con l’affermazione dell’onnipotenza del soggetto potrebbe benissimo concludersi con il superamento dell’idea stessa di autonomia soggettiva con tutto quel che implica da un punto di vista della responsabilità politica. Si si prendono alla lettera le tendenze più radicali del paradigma cibernetico, certi pensatori sembrano aspirare proprio a un mondo naturalizzato e spiritualizzato, scaturito dalla pesante prova della storia umana. Di fronte a una tale logica, il soggetto vede la propria singolarità riconosciuta storicamente sgretolarsi tra, da una parte, il modello di una razionalità tecnica che declassa in capacità il cervello umano, e dall’altra un’industria biotecnologica che modella il corpo in funzione di un’ideale di adattabilità e d’immortalità.

Gravido delle promesse vertiginose della tecnoscienza, il futuro che si staglia di fronte a noi sembra uscito direttamente dai programmi di ricerca elaborati dai cibernetisti dopo la Seconda Guerra mondiale. Con il suo ideale di controllo e di gestione dell’informazione, l’impero cibernetico alla fine ci sequestrerà l’avvenire? Nel momento in cui il futuro sembra dettato dalle leggi del mercato e dall’adattabilità tecnologica, abbiamo il diritto di porci la questione. Ancor più per il fatto che questa programmazione del futuro si alimenta della macchina da guerra, proprio la stessa che ha visto nascere la cibernetica. Gli eventi di inizio secolo come l’11 settembre 2001, la lotta contro il terrorismo e la guerra in Iraq, in effetti hanno dato un nuovo avvio all’estensione dell’impero sotto il governo della potenza americana, che in quegli stessi anni stanziava più della metà degli investimenti in “sviluppo e ricerca” nell’ambito militare. Ciò detto, non dimentichiamoci i finanziamenti stanziati al termine della Seconda Guerra mondiale: per fare un esempio, la National Science Foundation, creata nel 1950 su raccomandazione di Vannevar Bush, vide anch’essa aumentare il proprio budget con l’obiettivo di essere al servizio sia di un’economia basata sulla conoscenza sia della sicurezza nazionale. Unita a un patriottismo esacerbato, l’odierna ossessione del controllo e della sicurezza ricorda stranamente l’epoca del maccartismo.

L’impero cibernetico contiene in sé le tendenze totalitarie che storicamente doveva combattere. A forza di essere troppo globalizzante, di riportare tutto all’informazione e alla complessità, di ridurre tutto a un codice, che sia linguistico o genetico, giunge a perdere di vista la realtà stessa, che finisce per confondere con un sistema modellizzato. Questa potenza totalitaria in opera all’interno del paradigma cibernetico è riassunta molto bene da Michel Freitag: «Se a ogni cosa che esiste si sottrae ontologicamente la base che le è propria, quella della specificità in cui si trova, non esiste più realtà: non resta che la sua astrazione. E dunque non c’è nemmeno più alcunché che possa resisterci, che possa opporre il suo essere alla nostra volontà.» (Michel Freitag, “De la terreur nazie au meilleur des mondes cybernétiques”, Argument, vol. 5, nº 1, 2002-2003) Questo quadro può sembrare fosco ma non ha niente di ineluttabile. Nulla che non dipenda da una volontà umana, da una costruzione simbolica, da una potenza politica e da una logica economica. L’impero avanza distruggendo i confini, ma niente impedisce di tracciarne di nuovi, di stabilire dei limiti al suo dilagare.

Uno di questi potrebbe essere quello dell’interiorità: luogo del dubbio, dell’insicurezza, dell’oscurità e della memoria, potrebbe essere l’unica garante dell’autonomia soggettiva che sta alla base dell’alterità, ciò di cui bisogna a tutti i costi difendere le frontiere se ci teniamo alla nostra condizione di esseri storici e politici. Con questa esortazione a restare umani il viaggio di Celine Lafontaine si conclude alle soglie del nuovo secolo, del nuovo millennio. Toccherà ora ai mozzi della Nave dei folli inoltrarsi da soli nei nuovi territori della cibernetica, e al contempo ritornare su altri luoghi oscuri del passato dove sono state piantate le sue radici e che, per poterle estirpare, occorrerà riportare alla luce.

 

 

Sommario 5.37

 

Riferimenti 5.37

  • Steppenwolf, Earschplittenloudenboomer (Steppenwolf 7, 1970)
  • Steppenwolf, Cat Killer (At Your Birthday Party, 1969)
  • Steppenwolf, Fag (Monster, 1969)
  • Steppenwolf, Mango Juice (At Your Birthday Party, 1969)
  • Steppenwolf, Hodge Podge Strained Through A Leslie (The Second, 1968)
  • Co-Mix, Revol Rules OK (Science Fiction Park Bundesrepublik: German Home Recording Tape Music of the 1980s, 2014)
  • Elisa ft Tommaso Paradiso, Andrà tutto bene (aprile 2020)
  • Sexy Sushi, Hibernatus (Caca, 2005)
  • Mirror of Deception, The Ship of Fools (Foregone, 2004)
  • Merv Pinny, OB (Can you hear the children cry) (Twisted Minds, 2018) – TESTO
  • Spiders On Phasing, Studio Outtake 11 + 14 + 6 + 8 + 7 + 9 + 10 (The Scorpions Studio Outtakes, 2000)
  • Boris Kovac & Ladaaba Orchestra, Interlude (Ballad At The End Of The Time, 2003)
  • Felix Kubin & Ensemble Integrales, Kugeln + Freundliche Zukunft + Obelisk + Smiling Buddha (Echohaus, 2010)

Episodio 5.36

Episodio 5.36

L’evoluzione dell’evoluzione

L’avanzamento della tecnoscienza è, sotto la maschera dell’ineluttabilità, comandato da un nuovo tipo di evoluzionismo. Se il darwinismo può essere considerato il degno rappresentante scientifico della rivoluzione industriale, da parte sua l’evoluzionismo informatico è l’erede diretto della rivoluzione cibernetica. Così la cosmogonia della complessità tende sempre più a sostituirsi alla democrazia come orizzonte politico: difficile infatti fermare il progresso allorché viviamo sotto la minaccia del caos e dell’entropia. Ancorata all’idea di una complessificazione illimitata del trattamento dell’informazione, il postumano si vede affidata la missione di proseguire tecnicamente questo processo. L’economista Jeremy Rifkin riassume bene questo evoluzionismo: «Nel nuovo schema di pensiero, ogni specie è “meglio informata” di quella che l’ha preceduta e così si trova a essere meglio equipaggiata per controllare e anticipare il proprio futuro. Se l’evoluzione è l’aumento dell’abilità di calcolo, allora l’umanità sta esibendo il suo giusto ruolo nello schema cosmico grazie al suo implacabile impegno a elaborare crescenti quantità di informazioni al fine di anticipare e controllare il proprio futuro.» (Jeremy Rifkin, Il secolo biotech. Il commercio genetico e l’inizio di una nuova era, Baldini&Castoldi, Milano 1998, pp. 338-339)

Collocandosi a metà strada tra teoria scientifica e spiritualismo informatico, l’ipotesi Gaia offre un bell’esempio di questo evoluzionismo. Considerando la biosfera come un immenso organismo cibernetico, James Lovelock sostiene che «l’evoluzione dell’Homo sapiens, con la sua capacità inventiva tecnologica e la sua sempre più sofisticata rete di comunicazioni» ha «enormemente accresciuto la gamma di percezioni di Gaia. Attraverso noi, essa è ora conscia di sé stessa. Essa ha visto la propria gradevole immagine riflessa negli occhi degli astronauti e nelle telecamere dei satelliti spaziali orbitanti.» (James Lovelock, Gaia. Nuove idee sull’ecologia [1979], Bollati Boringhieri, Torino 1981, p. 175)

Contrariamente al suo equivalente darwiniano, l’evoluzionismo informatico non si limita al mondo naturale. Le macchine, come gli esseri umani, sono chiamate a partecipare alla catena evolutiva. Tutte le figure metaforiche nate dalla matrice cibernetica (macchina intelligente, robot, cyborg, postumano e transumano) si vantano ormai di essere il senso ultimo dell’evoluzione. Conoscendo la tendenza religiosa del paradigma informatico, si avrebbe torto a minimizzare la portata democratica di un simile evoluzionismo, soprattutto quando è sostenuto tanto da premi Nobel quanto da filosofi di fama internazionale. Mentre l’umanesimo si basa sul riconoscere l’autonomia inalienabile del soggetto, il postumanesimo colloca l’umano sotto la tutela eteronoma della complessità. L’idea del postumano deriva da un’amnesia generale socio-storica che affonda le sue radici nel trasferimento cibernetico della memoria all’interno della macchina. Questa non è altro che una pura metafora, certo, ma la metafora è in marcia e l’Impero cibernetico non cessa di abbattere le frontiere.

 

 

Sommario 5.36

 

Riferimenti 5.36

  • Ojos De Brujo, Space Zambramix (DJ Panko Remix) (Remezclas De La Casa, 2005)
  • Gigliola Cinquetti, Sono Un Robot (Pensieri di donna, 1978)
  • Offering, Earth (Magma Presente Offering [CD4 – A Fiieh], 2003)
  • Ghédalia Tazartès, Transport 6 (Tazartès’ Transports – ALGA GTBOX1-Cd2, 1980)
  • Yo-Yo Ma, Unaccompanied Cello Suite No. 3 VI. Gigue (Six Evolutions – Bach: Cello Suites, 2018)
  • Magma, Mekanik Destruktiw Kommandoh (Archiw I & II (40th Anniversary Boxset Bonus – CD1, 2008)
  • Alice Cooper, Nuclear Infected (Flush the Fashion, 1980)
  • Kieran Hebden and Steve Reid, The Sun Never Sets + Rhythm Danse (Tongue, 2007)

Episodio 5.35

Episodio 5.35

La matrice biotecnologica

La negazione del corpo propria dell’informatica spiega in parte il perché le donne siano meno inclini a essere destinate alle alte sfere della programmazione. L’universo rappresentativo proprio di questo ambiente tende a escluderle dal rapporto che si crea nei confronti del computer-figlio. Secondo Philippe Breton «la riproduzione all’interno della tribù avviene fantasmagoricamente grazie da un lato all’unione dell’uomo e della macchina e dall’altro all’esclusione delle donne in quanto “matrici biologiche”. In tal senso, l’esistenza stessa della tribù informatica è in parte condizionata dall’esclusione delle donne che rappresentano una concorrenza indesiderata.» (Philippe Breton, La Tribu informatique, Métailié, Paris 1991, p. 43) Questo rifiuto simbolico della figura materna, che conduce inevitabilmente alla negazione dell’alterità paterna, non si limita al mondo dell’informatica. Se si segue fino in fondo la logica dell’androgino informatico, ci si rende conto che tra la produzione di macchine intelligenti e la riproduzione di esseri umani non c’è che un passo. Ed è proprio quello che tentano di compiere le biotecnologie. Che si tratti di combattere la sterilità, permettere la riproduzione al di fuori dell’atto sessuale o accedere a una forma di immortalità, tutti i motivi sembrano buoni per giustificare l’avanzata trionfale delle tecnologie riproduttive. Dal punto di vista simbolico, queste tecnologie contribuiscono all’ampliamento della matrice cibernetica. Quando afferma che «Il luogo specifico dell’uomo in fieri possiede dunque, dal punto di vista funzionale, le qualità di un utero esterno predisposto tecnicamente, in cui i nati, per tutto l’arco della vita, godono dei privilegi dei feti», Peter Sloterdijk non fa che esprimere, in modo filosofico, l’immaginario legato alla matrice proprio della scienza contemporanea. (Peter Sloterdijk, “La domesticazione dell’essere”, in Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger, Bompiani, Milano 2004.)

Sostenendo nel Manifesto Cyborg che «la riproduzione sessuale è uno dei tanti tipi di strategia riproduttiva» Donna Haraway contribuisce alla cibernetizzazione della funzione materna, che è soltanto un aspetto della denaturalizzazione della donna auspicata dal cyber-femminismo. (Donna J. Haraway, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo [1985], Feltrinelli, Milano 1995, p. 57) In quanto “matrice biologica”, il corpo della donna tende d’altra parte a essere percepito sempre più come una macchina. Il fenomeno delle madri surrogate è in tal senso esemplare. Uno studio americano svolto sulle madri surrogate sottolinea come queste ultime tendano a considerarsi come delle macchine riproduttrici, sebbene attribuiscano a questa capacità di produrre la vita un carattere sacro.

«Eliminando la sessualità dalla generazione e riducendo l’altro al ruolo di risorsa biologica o di strumento di gestazione, queste pratiche (…) conducono a far prevalere l’onnipotenza del desiderio e di un presunto diritto al figlio, rispetto ai diritti dei figli, sovente ridotti a oggetto di dono, di baratto o di vendita. Così, ai sogni di clonazione umana per ottenere l’immortalità succedono i progetti di clonazione che mirano a porre rimedio alla sterilità, addirittura all’assenza o al rifiuto di un partner, e a quel punto la clonazione incarna perfettamente il volto della “ri-produzione” (…) Non si può certo ignorare che un simile progetto di “gestire” un “doppione” deturpi al tempo stesso il femminile materno, la maternità e la paternità, così come la nozione di terzo implicita in quella di figlio. Non si può ignorare che la generazione a quel punto non sarebbe altro che un inquietante simulacro modellato sui giochi di retroazione e di scambio dei flussi d’informazione tanto cari alla cibernetica, come se fossimo già entrati nella strana prefigurazione di un’eventuale “cymèrenétique”». (Louise Vandelac, “Clonazione o l’attraversamento dello specchio”, in Cahiers de recherche sociologique, Numéro hors-série, 2003 Le vivant et la rationalité instrumentale, pp. 147-149)

Quando la sociologa Louise Vandelac parla di cymèrenétique, si capisce che sta denunciando una metafora che non è più tale. Di fronte alla sempre crescente panoplia delle tecnologie che servono a intervenire direttamente prima nella selezione dell’embrione e poi sul feto nella fase di sviluppo, non ci si può stupire che si sia finiti per parlare di bambino-cyborg. Separando riproduzione e sessualità e permettendo lo scambio e il trasferimento dei gameti, le tecnologie riproduttive tendono ad annullare l’ambito corporale e simbolico della procreazione umana. A quel punto non esiste più né padre né madre, ma una matrice tecnica onnipotente. La clonazione occupa una posizione centrale in questo immaginario poiché, in fin dei conti, è il codice genetico che si riproduce, andando così a chiudere il cerchio informatico. Che si dica terapeutica o riproduttiva, la clonazione è fin dalla sua stessa concezione, il compimento fantasmagorico della logica cibernetica. Predicendo la vita eterna grazie alla clonazione, Raël sembra aver colto, meglio di ogni altro, la posto in gioco simbolica soggiacente a tale progetto. Certo, si può ancora sorridere alla vista di questo personaggio, ma come si può restare ciechi di fronte al fatto che egli rappresenta il versante estremo di un movimento che si agita alla base della civiltà?

Se la clonazione costituisce la vetta utopica dell’iceberg biotecnologico, i metodi di selezione dell’embrione, sebbene più discreti, contribuiscono a estendere l’influsso della matrice tecnoscientifica. Lungi dall’annunciare l’avvento di un uomo nuovo, l’ingresso delle discriminazioni genetiche sul mercato della riproduzione umana rappresenta una minaccia reale per la concezione democratica del soggetto. L’eugenismo liberale reso possibile dall’ingegneria genetica rimette radicalmente in discussione le fondamenta delle democrazie moderne. Che sia per evitare la trasmissione di una malattia ereditaria o per migliorare il genotipo, la programmazione selettiva degli embrioni umani investe il principio simmetrico dell’eguaglianza democratica.

In un’opera dedicata a tale questione, Jürgen Habermas dimostra che abbiamo tutte le ragioni per credere che il ribaltamento dell’asse simmetrico tra le generazioni rischia di ridurre il sentimento di eguaglianza tra i figli prodotti dalle manipolazioni biotecnologiche. Per il sociologo tedesco, «venire a sapere che il proprio genoma è stato programmato potrebbe non soltanto creare disturbo al senso di naturalezza per cui noi esistiamo come un corpo (ovvero, per certi versi, “coincidiamo” con esso), ma anche far nascere un modello inedito di relazione tra le persone caratterizzato da una peculiare asimmetria.» (Jürgen Habermas, Il futuro della natura umana. I rischi della genetica liberale, Einaudi, Torino 2002, p. 44). Non c’è bisogno di evocare il Mondo Nuovo di Huxley per capire che dietro la selezione embrionaria si cela l’anti-umanismo. Interponendosi nell’ordine delle generazioni, la matrice biotecnologica ci tuffa in un nuovo arcaismo in cui l’individuo è programmato ancor prima della sua nascita. Di fronte a una simile regressione simbolica, il tribalismo postmoderno acquista davvero tutto il suo senso.

 

 

Sommario 5.35

  • Introduzione con estratto da Essor (Luciano Milesi, 1969)
  • Newcleo propone un nuovo grattacielo a Porta Susa (23/7/2024)
  • Benjamín Labatut – GLI DÈI DELLA LOGICA. Prima e dopo l’intelligenza artificiale (Pubblicato su Harper’s Magazine, luglio 2024) – Prima parte
  • TG LEONARDO – Abel il robot empatico che parla italiano

 

Riferimenti 5.35

  • Felix Kubin, Katharina & Witt, Fiction & Reality: Im Kaufhaus + Katharina Tanzt + Haar Für Haar + Tanzende Mäntel (Filmmusik, 1998)
  • Felix Kubin, Die Contr-contras: Bruder Luzifer (Filmmusik, 1998)
  • Felix Kubin, Bloody Nerv: I. Ankunft + II. Schnitt Für Schnitt + Pornodisko (Filmmusik, 1998)
  • Christy Moore, House Down In Carne (The Ballad Of Nuke Power) (The Early Years: 1969-81, 2020) – TESTO
  • Offering, Hymne Kobaien + Ehn Deiss + Uguma Mà Melimeh Gingeh + Solitude + Tilim M’Dohm (Magma Presente Offering [CD4 – A Fiieh], 2003)
  • Cortex Of Light, Kekuasaan [Energia] – Holomorph Mix (MAKA – The Alkisah Reworks Divisi Italia, 2021)
  • David Lynch, Girl On The Street – Instrumental (Experiments, 2011)
  • Eric Meyer, Clean Power Forever – EBR-I (6/8/2018) – TESTO
  • Blue Robotics, The Robot Song (marzo 2024)
  • Kymberly Stewart & Aaron G. Barbosa, I Am A Robot (2017)

Episodio 5.34

Episodio 5.34

L’androgino informatico

La moltiplicazione delle “differenze” annulla l’unica, vera differenza: quella tra i sessi. Questa negazione della prima alterità, costitutiva del simbolico, trova la propria origine nell’immaginario della cibernetica. Non soltanto l’idea di essere informatico riporta il corpo a essere un semplice supporto, favorendo così un avvicinamento tra umano e macchina, ma ha soprattutto permesso di realizzare un vecchio sogno, quello di permettere all’uomo di imitare la donna nella creazione di un essere intelligente. Il progetto di creare una macchina intelligente si collega a una lunga tradizione mitologica di generazione artificiale di un essere a immagine dell’Uomo. I primi informatici provavano un vero e proprio sentimento di paternità riguardo il “computer-figlio”. Con l’apparente ingenuità degli anni Cinquanta, i cibernetisti Gray Walter e Albert Ducrocq arrivano perfino a farsi fotografare assieme sia ai loro figli sia alla loro creatura artificiale, in modo da segnalare questa doppia paternità. La matrice cibernetica genera un nuovo tipo di filiazione.

L’androgino informatico traspare molto chiaramente nel celebre “Gioco dell’imitazione” del matematico Alan Turing. Ritenuto un classico nell’ambiente dell’informatica, questo test parte dal seguente postulato: se un uomo, al di là di qualunque riferimento al corpo, si può far passare per una donna rispondendo alle domande di una terza persona; e se, in un secondo tempo, un computer riesce, attraverso lo stesso procedimento, a ingannare circa la propria vera identità, allora si può concludere che l’involucro corporale è secondario rispetto al contenuto dell’informazione. Perciò è l’abolizione della differenza tra i sessi che permette a Turing di collocare il computer in filiazione diretta con l’uomo. Tuttavia il matematico ci tiene a precisare che bisogna escludere dalla categoria delle macchine «gli uomini nati nel modo normale», sebbene sia, a suo avviso, «probabilmente possibile dar vita a un individuo completo da una singola cellula della pelle, poniamo, di un uomo», affrettandosi ad aggiungere che questo risultato della «tecnica biologica» meriterebbe senza alcun dubbio «la lode più alta». (Alan Turing, “Macchine calcolatrici e intelligenza”, Mind, Volume LIX, n° 236, ottobre 1950).

Alla luce degli attuali sviluppi in materia di tecniche di riproduzione, non è certo anodino ricordare che uno dei testi fondatori dell’informatica faceva direttamente allusione alla clonazione umana. Si comincia perciò a cogliere la portata tecnoscientifica dell’androgino informatico. Quanto alla fine tragica di Turing, morto mangiando una mela avvelenata per sfuggire a un’ordinanza di castrazione chimica emessa da un tribunale britannico, non fa che ricordarci la terribile sorte riservata agli omosessuali della sua epoca. Su un piano metaforico, non si potrebbe considerare questo pomo mortale come un avvertimento di fronte ai pericoli di una seconda Genesi, quella della postumanità?

 

 

Sommario 5.34

  • Introduzione
  • Alan Turing: Can Digital Computer Thinks? (Lost BBC radio broadcast, 15/5/1951)
  • Il vento ci spazzerà? Oggi Oristano, domani Ravenna… (Servizi del TG di TeleSardegna e voci dai Comitati, luglio 2024 / TG3 Emilia Romagna con Amministratore Delegato Agnes Alberto Bernabini e Sindaco di Ravenna Michele De Pascale, giugno 2024)
  • Per non dimenticare: Covid Freestyle di Emis Killa
  • C’è poco da ridere… il sorriso robotico di Erica (Dai robot umanoidi ai robot avatar, con Hiroshi Hishiguro, Università di Osaka, e l’ingegnere Tomo Funayama – Codex Rai3, 2/4/2024)
  • NON APRIRE QUELLA PORTA / Sonar numero 31 – TESTO
  • Una scorreggia ci spazzerà? Flatulenze bovine e cambiamento climatico (Chiasso TV; Quotidiano.net e lo scoppio della fattoria in Germania 26/1/2014; Spot di Burger King sulla sostenibilità degli allevamenti; “Bill Gates: Stop cow farts to help slow climate change”, intervista CNN 15/2/2019; Danimarca tassa le “emissioni” delle mucche, EuroNews, 26/6/2024)

 

Riferimenti 5.34

  • Klaus Schulze, There’s No Mystery + Don’t Ask the Question Why + A Tiny Violin (Androgyn, 2017)
  • Klaus Schulze, Esoteric Goody (Dig It, 1980)
  • Noir Desir, Le Vent nous portera (Des visages des figures, 2001)
  • Thierry “Titi” Robin, Le vent (Kali Gadji, 1998)
  • Manu Chao, El viento (Clandestino, 1998)
  • Emis Killa Prod Nebbia, Covid Freestyle (marzo 2020)
  • Nicola Cruz, El Diablo Me Va A Llevar (Siku, 2019)
  • DJ Koze, Mariposa (Kosi Comes Around, 2013)
  • Carl Craig & Moritz Von Oswald, Movement 1 (Recomposed, 2008)
  • Pasquale Festa Campanile, Il petomane, la sinfonia (1983)
  • Michel Gondry & Mason Ramsey, Burger King Cows Menu (Luglio 2020)
  • Bienvenido Granda & Conjunto Sonora Matancera, Mi vaca lechera (La Ola Marina, 1944)
  • The Farmlopez, La vaca lechera (Original Remix) (Cancionero Popular, 1994)
  • I Cugini di Campagna, Tolón tolón (mi vaca lechera) (1970)

Episodio 5.33

Episodio 5.33

Abbiamo compiuto questa lunga e faticosa immersione negli scritti di Hardt e Negri non per la loro importanza, assai limitata, né per vocazione masochistica, ma per evidenziare alcune caratteristiche dei tempi attuali che, sebbene evidenti, continuano a essere oscurate se non negate, e per analizzare e verificare innanzitutto la sostanziale adesione alla prospettiva cibernetica della sinistra dei giorni nostri. Sebbene si dipinga di verde nel tentativo di intercettare le lotte in difesa del territorio e della terra di questi ultimi decenni – un esempio su tutti la Val di Susa – e le più recenti mobilitazioni delle giovani generazioni ambientaliste, in realtà spinge per la fusione con le macchine e propone una soluzione eco-tecnologica per il solo problema che esiste, quello climatico. Fuori discussione sovvertire il totalitarismo tecno-scientifico, che anzi molto spesso viene sostenuto come nel caso delle misure sanitarie e delle vaccinazioni durante il Covid. Inoltre, cosa ancor più triste e grave, questa ideologia post (moderna e umana) è penetrata anche in molti altri ambiti dove, oltre a compiere disastri con le varie ossessioni legate a sesso e genere o alla cosiddetta razzializzazione, ha trapiantato pensieri e pratiche tipici dell’autoritarismo finendo per difendere guerre, posti di lavoro, industrializzazione, cyber-tecnologie, per non parlare delle derive istituzionali palesatesi nelle ultime elezioni, europee prima e francesi poi.

Dunque, dopo aver mostrato il profondo carattere macchinico delle soggettività disobbedienti delle moltitudini postumane, concludiamo la panoramica dando uno sguardo ad altri cardini su cui ruotano i movimenti sinistri, presentati nell’Assemblea di Hardt e Negri del 2018. Lungi dal proporre un modello che non sia mercantile ed economicista, al fine di produrre a loro dire «soggettività potenti» non intendono abbandonare l’orbita del denaro, che è anzi «una tecnologia sociale che istituzionalizza le relazioni sociali», e sognano di «inventare un’alternativa alla moneta capitalistica, vale a dire, una tecnologia sociale alternativa per istituzionalizzare nuove relazioni sociali – una moneta del comune». Quel che hanno in mente non è la conquista di una qualche Banca centrale, né «quelle (comunque nobili) valute locali o digitali che cercano di sfuggire al potere totalizzante delle valute dominanti. (…) Siamo invece interessati a decostruire le relazioni sociali che la moneta capitalistica impone e istituzionalizza e a istituzionalizzare nuove relazioni sociali attraverso una nuova moneta», che sarà in grado di bloccare la finanziarizzazione della società e di «estendere le relazioni sociali autonome della cooperazione, confermando i valori del comune e generalizzando i suoi principi di libero accesso e produzione democratica delle decisioni. Una moneta del comune, allora, deve essere una tecnologia sociale che coroni i processi di soggettivazione, rendendo la produzione di potenti soggettività duratura e socialmente espansa.» (Assemblea, pp. 292-293)

Se in economia ambiscono a battere moneta, nel senso più spregevole del termine, e creare imprenditoria sociale cooperativa, sul piano politico propongono di sfuggire alla vecchia alternativa tra «un’orizzontalità inefficace e una leadership poco auspicabile o rifarsi a modelli politici tradizionali che bilancino spontaneità e centralismo, democrazia e autorità». In che modo? «La moltitudine deve prendere il potere, ma in modo diverso, attraverso l’innovazione radicale delle istituzioni democratiche e lo sviluppo delle capacità di gestire insieme il comune», e a tal fine ci sarà bisogno di un “nuovo Principe”, che «però, non sarà un singolo individuo, un comitato centrale o un partito», ma sarà come «una composizione musicale: l’ontologia plurale della moltitudine non si fonde in un solo elemento ma le singolarità – vale a dire le diverse forze sociali che continuano a esprimere le loro differenze – scoprono armonie e dissonanze, ritmi comuni e sincopati: compongono un Principe.» (pp. 292-293)

Potere, denaro, menzogna… nulla di nuovo tra le file dei marxisti-leninisti, che il voler rovesciare radicalmente la società lo hanno sempre considerato estremistico, controproducente: una malattia infantile, contro cui ora vorrebbero vaccinarci tutti. Nel nome di una “analisi concreta di una situazione concreta”, (che in fin dei conti altro non è ancora una volta che “analisi astratta di una situazione immaginaria”) gli ex-autonomi in via avanzata di automazione sarebbero, a differenza dei poveri sognatori, più realisti del re, e d’altronde lo stesso Negri aveva molti anni fa scritto nientemeno che “Trentatré lezioni su Lenin”, chiamandole giustamente “la fabbrica della strategia”. Ma i tempi sono cambiati e oggi c’è bisogno di un nuovo tipo di realismo politico per «spiegare come il passaggio dalla proprietà al comune si traduca nella creazione di nuove relazioni sociali, come riprendendoci il capitale fisso e stabilendo una nuova relazione tra umani e macchine possiamo produrre soggettività macchiniche e come l’imprenditorialità della moltitudine, la sua autorganizzazione e la sua autogestione, siano in grado di inventare istituzioni democratiche durature». (p. 299)

Evidente la loro fascinazione per il produttivismo, per cui non bisogna liberarsi dal lavoro ma ovviamente «riappropriarsi dei mezzi di produzione. Quando agisce in strutture di produzione che diventano sempre più relazionali e che aumentano la produttività quanto più relazionali diventano, il potere della forza-lavoro è in grado di impossessarsi di quelle stesse strutture, perché incarna e incorpora gli strumenti della produzione all’interno del proprio corpo. La figura dei produttori diventa macchinica, la loro formazione (all’interno delle strutture del capitale) diventa sociale e i loro prodotti diventano comuni. Molti autori leggono questo passaggio a una nuova fase della società capitalistica come un approfondimento della mercificazione del lavoro e della vita sociale nel suo complesso e in questa transizione, infatti, si danno forti elementi di mercificazione. Ci sembra, tuttavia, che questi elementi possano essere trasformati in un nuovo potere e che, quando la forza-lavoro si riappropria degli strumenti di produzione e prende il controllo dei rapporti di cooperazione, possa affermarsi con più forza ancora.»

All’obiezione secondo cui nelle condizioni odierne il lavoro non produca altro che alienazione e assoggettamento, rispondono che nonostante ciò sia in parte vero, non bisogna permettere che prevalgano questi lati negativi ed evitare che «la sofferenza dei lavoratori e la nuova schiavitù della produzione sociale, intellettuale e di cura ci rendano ciechi alla dignità e alla potenzialità delle loro capacità cooperative e all’intellettualità di massa.» Più chiaro di così! «La natura sociale del lavoro rivela (…) come la produzione economica sia sempre più orientata verso la produzione e la riproduzione delle forme di vita, sia nella produzione dei corpi che nella produzione di soggettività.» (p. 300) Noi siamo fatti dal tecno-capitale, questo è realismo! «Quando la produzione capitalistica diventa antropogenetica – concentrata sulla generazione e sulla riproduzione della vita umana e della soggettività – allora la forza-lavoro ha più che mai il potenziale per esprimere autonomia.» (p. 300-301)

Insomma, la magia della moltitudine è che riesce a trasformare in oro comune la merda capitalista. Più il capitale schiaccia le persone e le tritura nei suoi ritmi produttivi, più è possibile formare un contro-potere che faccia valere la forza della cooperazione. Più i capitalisti, «sotto la direzione della finanza, perdono le loro capacità di innovazione e vengono gradualmente esclusi dalla conoscenza della socializzazione produttiva, così la moltitudine genera sempre più le proprie forme di cooperazione e guadagna capacità di innovazione. Il capitale è costretto a trasferire la capacità di creazione del valore e l’organizzazione della cooperazione produttiva alla moltitudine imprenditoriale. La moltitudine non si limita a subentrare e a ripetere i compiti dell’imprenditore capitalistico, ma disloca la produzione e la riproduzione sociale lontano dalla proprietà e le dirige verso il comune. (…) Il capitale, naturalmente, detiene ancora armi repressive, alcune più dure di prima, ma non osa affrontare in termini diretti l’impresa che viene dal basso, per paura di distruggere le forze della cooperazione e ridurre la produttività. Qui, il potente mostro che la forza-lavoro moltitudinaria è diventata caccia via ogni San Giorgio che vuole ucciderlo» (p. 301)

Quello che Hardt e Negri smerciano, spacciandolo per antagonismo, è l’accettazione dell’unico modo di vivere neomoderno, e mirano alla moltitudine dei poveri produttori e riproduttori per proporre loro la solita vecchia panacea dell’organizzazione – ovvero il nuovo partito/entità/istituzione della sinistra postmoderna, in qualunque forma esso si presenti, informale o parlamentare. «Non c’è realismo politico senza organizzazione – anzi, organizzazione verso un obiettivo definito. Il realismo politico deve rifiutare ogni affermazione trascendente, ideologica, teleologica di un telos, ogni obiettivo imposto dall’esterno e deve, invece, adottare un telos costruito dal basso, a partire dai desideri della moltitudine: una teleologia immanente. Infine, un’analisi politica realista deve coinvolgere le istituzioni. Fondamentali a questo riguardo sono stati i tentativi di Foucault (…) di costruire una genealogia delle istituzioni che muova dalla critica del presente verso l’invenzione di nuove pratiche: la costituzione della potenza di vita contro il biopotere.» (p. 302)

 

 

Sommario 5.33

  • Introduzione con Klaus Schwab al World Economic Forum di Dalian in Cina (25/6/2024)
  • Festival Alta Nocività 2024 – La valle è mia e la distruggo io (per vedere le regole d’ingaggio visita il sito) – TESTO
  • Anima robotica (Codice – La vita è digitale, RaiPlay 8/7/2022)
  • Per non dimenticare: Carlo Verone (Io mi vaccino perché…) & Militant A (Coronavirus – Il rap challenge degli Assalti frontali: Doniamo sangue e Rap dell’infermiere)
  • Lookout, l’app per non alzare mai gli occhi dallo smartphone
  • Nuclear Now – Intervista a Oliver Stone di Marianna Aprile (La7, 6/12/2023) con intermezzo Greta Thunberg da intervista a Sandra Maischberger, (ARD, 12/19/2022)
  • Dimenticate il robot dal volto squadrato e metallico (Tg1, luglio 2024)
  • Concorso di Miss Intelligenza Artificiale, vince la marocchina Kenza Layli (TgCom24, 12/7/2024)

 

Riferimenti 5.33

  • Baba Zula, Kk Dub (with Onofon) + Analog Anadolu Dub + Nobey Dub (with Arastaman) (XX bonus CD “Dub”, 2017)
  • Circus Contraption, Come To The Circus + Circus Contraption Theme (Our Latest Catalogue, 2001)
  • Tom Waits, Instrumental Montage/The Tango (One From The Heart, 1982)
  • Circus Contraption, March In A Minor (Our Latest Catalogue, 2001)
  • Tom Waits, Instrumental Montage/Circus Girl (One From The Heart, 1982)
  • Gioele Mazza, Robotic Soul (Original Mix) (Miami, 2017)
  • Militant A, Rap dell’Infermiere – Assalti Frontali con gli Infermieri del Policnico di Tor Vergata (maggio 2020)
  • Sandoz, Digital Lifeforms (Digital Lifeforms, 1993)
  • Him and the Layers (feat. Bill Gates), HalleNuclear (2020)
  • Richard Wagner, La cavalcata delle Valchirie (Trondheim Symphony Orchestra & Opera in Olavshallen, 11/3/2021)
  • Totò, Miss mia cara Miss (Totò a Parigi, 1958)

Episodio 5.32

Episodio 5.32

Per spiegare come l’Assemblea di Hardt e Negri sia formata da “soggettività macchiniche” i due si appoggiano a Guattari, secondo cui spesso ci si è concentrati sulla questione della tecnologia mentre invece era solamente un sottoinsieme del problema delle macchine: «Dato che “la macchina” si apre verso il suo ambiente macchinico e intrattiene ogni tipo di relazione con i componenti sociali e le soggettività individuali, il concetto di macchina tecnologica dovrebbe essere esteso a quello di concatenamenti macchinici [ovvero agencements machiniques, traducibile anche come “assemblaggi”].» (Félix Guattari, “À propos des machines” in Chimères. Revue des schizoanalyses, n°19, 1993). Perciò il macchinico non soltanto è diverso dal meccanico, ma anche «dall’idea di una sfera del tecnologico separata e addirittura opposta alla società umana. (…) Il macchinico, allora, non si riferisce mai a una macchina individuale e isolata ma sempre a un assemblaggio.» Anche grazie a Deleuze e Foucault, si approda a una definizione di assemblaggio macchinico come «una composizione dinamica di elementi eterogenei che rifuggono l’identità e, ciononostante, funzionano insieme, soggettivamente, socialmente, in cooperazione tra loro. In questo senso il macchinico ha molte caratteristiche in comune con il nostro concetto di moltitudine, che prova a individuare soggettività politiche composte da singolarità eterogenee», tenendo però a mente che la moltitudine non è da considerarsi esclusiva degli esseri umani. Infatti il concetto di cyborg di Donna Haraway e «i suoi vari tentativi di combattere identità e soggetti essenzializzati» aiutano a infrangere il limite imposto dalla «nostra tradizionale separazione tra umani e macchine e tra umani e altri animali», motivo per cui gli assemblaggi macchinici includeranno tutti «gli esseri o gli elementi che stanno sul piano di immanenza. Tutto questo si fonda sulla tesi ontologica che pone umani, macchine e (ora) gli altri esseri sullo stesso piano ontologico.» (Assemblea, pp. 166-167)

Un altro aspetto importante dell’assemblaggio macchinico riguarda l’idea di “produzione antropogenetica”, per cui si sarebbe passati dal fordismo in cui si producevano merci per mezzo di merci al postfordismo in cui si assiste alla produzione dell’uomo per mezzo dall’uomo. Ma «la potenza di queste nuove soggettività macchiniche è solo virtuale fino a quando non viene attualizzata e articolata nella cooperazione sociale e nel comune», ovvero «la ricchezza e il potere produttivo del capitale fisso sono appropriati socialmente e si trasformano da proprietà privata a comune, allora la potenza delle soggettività macchiniche e le loro reti cooperative possono pienamente attualizzarsi.» Siamo tornati indietro al solito mito marxista-leninista della necessaria industrializzazione della produzione per il trionfo del proletariato che, magicamente, si sarebbe abolito, cent’anni dopo rivisitato in salsa postmoderna con tutti gli aggiornamenti del sistema operativo post-comunista. Come il capitalismo produceva proletariato rivoluzionario che l’avrebbe soppiantato, oggi i due guardano ai giovani «immersi in assemblaggi macchinici» la cui «stessa esistenza è resistenza», per il solo fatto di produrre. «Il capitale deve riconoscere una dura verità: non può che consolidare lo sviluppo del comune prodotto dalle soggettività da cui estrae valore, ma il comune si costruisce solo attraverso forme di resistenza e processi che si riappropriano del capitale fisso.» Qui starebbe a loro avviso la contraddizione su cui investire il loro gruzzolo di capitale militante: «autosfruttatevi, dice il capitale alle soggettività produttive, e quelle rispondono: vogliamo autovalorizzarci e governare il comune che produciamo. Qualsiasi ostacolo nel processo – e anche il sospetto di ostacoli virtuali – può portare a uno scontro sempre più profondo. Se il capitale può espropriare valore solo dalla cooperazione delle soggettività che al contempo resistono a tale sfruttamento, allora il capitale deve innalzare i livelli di comando e azzardare operazioni sempre più arbitrarie e violente di estrazione del valore dal comune», da cui ne scaturirà non maggiore asservimento e alienazione, bensì l’illusione di una rivoluzione non più proletaria ma moltitudinaria. (Assemblea, pp. 168-169)

Mentre Hardt e Negri tentano di sottrarre al capitalismo il primato cibernetico, c’è un’altra cosa che rivendicano per la moltitudine: l’imprenditorialità, la capacità produttiva e riproduttiva della cooperazione sociale. Per farlo, si appoggiano alla teoria dell’imprenditore di Joseph Schumpeter, sottolineando come il capitalista «riceve ingiustamente credito per una funzione imprenditoriale che viene svolta altrove» e che «l’imprenditorialità capitalistica riveli il potenziale della moltitudine». (p. 188) Nelle sue teorie scorgono un forte legame con l’idea di Marx secondo cui, a loro dire, «la cooperazione, mentre accresce la produttività, ha anche un effetto trasformativo sul lavoro, perché crea una nuova forza sociale produttiva» (p. 189), e lo citano quando costui afferma: «Nella cooperazione pianificata con altri l’operaio si spoglia dei suoi limiti individuali e sviluppa la facoltà della sua specie.» (Karl Marx, Il Capitale, libro I, cap. 11, p. 371 – trad. it. di Raniero Panzieri, Editori Riuniti, Roma, 1980) Dunque Schumpeter riconosce come Marx che «la chiave per aumentare la produttività (e quindi i profitti) è la cooperazione dei lavoratori coordinati con sistemi di macchine. (…) Le potenzialità dell’umanità vengono realizzate nella cooperazione, o per meglio dire, una nuova forza sociale si forgia in questo processo: un nuovo assemblaggio macchinico, una nuova composizione di uomini, macchine, idee, risorse e altri esseri.»

 

 

Sommario 5.32

 

Riferimenti 5.32

  • SZUM, TransHuman (2023)
  • Jonathan, Soviet Athem (Techno Remix) (2013)
  • Holger Hiller, Wenn Der Löwe Nicht Fressen Kann… (Holger Hiller, 2000)
  • Paul O’Dette/Andrew Lawrence-King/Pedro Estevan/Pat O’Brien/Steve Player, Jácaras Por La E + La Jota + Mariones Por La B + Cumbées + Payssanos + Giga de Corelli + Zarambeques + Marizápalos + Gallardas + Fandango + La Jota (¡Jácaras! 18th Century Spanish Baroque Guitar Music Of Santiago De Murcia, 2007)

Episodio 5.31

Episodio 5.31

Nella terza tappa del loro percorso, Comune. Oltre il privato e il pubblico del 2009, Hardt e Negri teorizzano un mondo comune «rispetto al quale non c’è alcun “fuori”», che per loro non è soltanto «la ricchezza comune del mondo materiale – l’aria, l’acqua, i frutti della terra e tutti i doni della natura», ma anche «tutto ciò che si ricava dalla produzione sociale, che è necessario per l’interazione sociale e per la prosecuzione della produzione, come le conoscenze, i linguaggi, i codici, l’informazione, gli affetti e così via». (pp. 7-8) Per giungere al comune la sinistra postmoderna cerca di sfuggire all’ambigua oscillazione tra modernità e antimodernità, per cui Hardt e Negri tirano fuori dal cilindro un nuovo concetto, quello di altermodernità. Consapevoli che il progetto moderno è impossibile da riscattare poiché saldamente in mano al comando capitalista, ma rifuggendo la tentazione anarchica e anacronistica di opporvisi in modo radicale, propongono ai post-comunisti questa terza via. «L’altermodernità segna una rottura più profonda con la modernità rispetto all’ipermodernità o alla postmodernità», ovvero deriva dalle lotte contro la modernità e dalle «resistenze nei confronti delle gerarchie che la infrastrutturano», ma «si dissocia dall’antimodernità di cui rifiuta l’opposizione dialettica e da cui si diparte, oltrepassando la resistenza, per costruire delle alternative». Insomma, l’altermodernità «è un dispositivo per la produzione di soggettività» che uniranno le loro forze in nome dell’intersezionalità. (p. 120)

Ci si sbaglierebbe nel vedere in questa proposta una tentazione libertaria, infatti «per poter aprire la strada alla rivoluzione, l’insurrezione deve sostenersi e consolidarsi con un processo istituzionale» in cui la moltitudine è costretta a «mettere le mani sugli apparati di Stato solo per smantellarli». Perciò il «coinvolgimento politico nelle istituzioni statuali è certamente utile e necessario per l’agibilità delle lotte contro la subordinazione. La liberazione, però, non può che proporsi la loro distruzione. L’insurrezione non è nemica delle istituzioni». Hardt e Negri intendono per istituzione qualcosa che, fondato sul conflitto, allarga lo strappo operato dalle rivolte contro l’ordine costituito (e contro le gerarchie delle identità) restando aperta ai conflitti interni. Le istituzioni diventano «componenti imprescindibili del processo insurrezionale e della rivoluzione» e per spiegare questa strana idea non potrebbero scegliere paragone più azzeccato: «Una definizione simile dell’istituzione è ricavabile dalle esperienze comuni che implementano le attività produttive nelle reti cibernetiche. Partiamo dai miti che hanno caratterizzato l’entusiasmo dei primi studi sulle implicazioni politiche della rete, come ad esempio l’impossibilità di esercitare un controllo, il fatto che la trasparenza della rete è sempre buona, e che lo sciame cibernetico è sempre intelligente. Le tecnologie informatiche hanno sicuramente incentivato lo sviluppo di processi decisionali assolutamente innovativi caratterizzati dalla molteplicità e dall’interattività. Mentre le vecchie élite socialiste sognavano le loro “macchine decisionali”, le esperienze degli operatori e degli utenti informatici configuravano un processo decisionale istituzionalizzato costituito da una miriade di microtraiettorie politiche. “Diventare media” è sinonimo di un costruttivismo comunicativo in cui il controllo collettivo dell’espressione in rete diventa un’arma politica.» (pp. 353-355)

In Comune la proposta politica di Hardt e Negri è abbandonare almeno formalmente i miti fondanti la sinistra comunista novecentesca, dal «mito della presa del potere nel senso dell’appropriazione della macchina dello Stato borghese» alla «creazione di un “contropotere” simmetrico e omologo alle strutture dell’ordine costituito». Ma dato che «il processo rivoluzionario non si svolge spontaneamente» esso va governato, e per farlo si ispirano a un tipo di federalismo contenuto nelle «analisi della governance svolte dagli studiosi del diritto e in particolare da un gruppo di giuristi tedeschi che si ispirano alla teoria sistemica elaborata da Niklas Luhmann», dimostrando ancora una volta di attingere a piene mani dal multiforme arsenale della cibernetica. (p. 369-371) Al tempo stesso, nelle pagine centrali del testo si approfondisce la frantumazione del soggetto fino a giungere, in linea con i contemporanei progressi delle politiche identitarie, alla «soppressione in noi stessi del pervicace attaccamento all’identità» (p. 381)

La fascinazione per la cibernetica e i suoi modelli di funzionamento, in questo terzo lavoro rimasta perlopiù sottotraccia, riemerge nelle pagine dell’ultima opera di Hardt e Negri, Assemblea del 2018, dove viene sancita la dissoluzione dell’identità in un “Noi, soggetti macchinici”. Pur riconoscendo che «tecnologie, modi di produzione e forme di vita sono sempre più intrecciati e alcuni di questi sviluppi tecnologici stanno creando disastri e cataclismi per l’umanità e la terra (…) non si risolve il problema semplicemente liberandoci della tecnologia: un simile obiettivo avrebbe poco senso dal momento che i nostri corpi e le nostre menti sono (e sono sempre stati) inestricabilmente connessi con diverse tecnologie. Così come il lavoro non è passivo rispetto al capitale, abbiamo relazioni attive con la tecnologia: creiamo tecnologie e soffriamo a causa loro, le rinnoviamo e poi le superiamo. Invece di rifiutare la tecnologia, dobbiamo partire dal tessuto tecnologico e biopolitico delle nostre vite e tracciare da lì un percorso di liberazione.» (Assemblea, p. 149)

 

 

Sommario 5.31

 

Riferimenti 5.31

  • Four Tet, Chiron + Liquefaction + Charm (Dialogue, 1999)
  • Matmos, Ur Tchun Tan Tse Qi + California Rhinoplasty (A Chance to Cut Is A Chance to Cure, 2001)
  • El Lebrijano, Bienaventuranzas (La palabra de dios a un gitano, 1972)
  • Kings of Convenience, The Weight of My Words (Four Tet Remix Instrumental) (Versus, 2001)
  • David Guetta x FiveAm ft Eminem, Future Rave Sound (2023)
  • Cabaret Voltaire, Just Fascination (Techology Western Re-Works, 1992)
  • Universe Zero, Carabosse (1313, 1977)
  • Cabaret Voltaire, I Want You (808 Heaven Mix) (Techology Western Re-Works, 1992)
  • Frankie hi-nrg mc, Nuvole (2020)
  • Orbe, Trashuman (Transhuman, 2021)

Episodio 5.30

Episodio 5.30

Mentre il primo testo della quadrilogia di Hardt e Negri era dedicato al biopotere imperiale, il secondo si concentra fin dal titolo sulla forza che gli si contrappone, ciò che ha sostituito i concetti di popolo, folla, massa e plebe: la moltitudine. Questa entità che, per quanto molteplice, non è frammentata, «non è anarchica né incoerente», è il grimaldello teorico utile ai due per svincolarsi da una “tradizione di sovranità” a cui erano rimasti legati i movimenti, le resistenze e le guerriglie comuniste novecentesche, incapaci di proporre un modello di libertà e eguaglianza poiché ancora impantanati nell’idea di un contropotere che a fine secolo iniziava a dimostrare tutti i suoi limiti. Al contrario, nella loro fantasia la moltitudine «è l’unico soggetto sociale capace di realizzare la democrazia, e cioè il potere esercitato da tutti», un soggetto che oltre a muoversi nell’ambito socioeconomico della classe e dello sfruttamento lavorativo, ruota attorno al feticcio della produzione biopolitica rappresentato da «la comunicazione, gli affetti e il sapere». Perciò la moltitudine si organizzerà attorno a nuove soggettività, sia quelle scaturite dall’ambito del lavoro immateriale (il famigerato general intellect), sia quelle legate a lotte e resistenze che riguardano la razza, il genere e il sesso.

Oltre ad ampie analisi delle nuove forme di governo mondiale e del funzionamento postfordista dei mercati globali, della produzione e del lavoro, nel libro troviamo alcune riflessioni su uno dei contesti più rappresentativi del concetto di biopolitica, quel mondo contadino che si sta dissolvendo e che per loro rappresenta uno dei cardini della moltitudine. Travolto e sconvolto dall’industrializzazione, anche con la complicità dei partiti e governi marxisti (compreso quello maoista), negli ultimi decenni è stato colonizzato anch’esso dal lavoro immateriale, come dimostra la questione dell’ingegneria genetica o della brevettabilità di sementi o specie viventi – piante e batteri modificati, fino all’Oncotopo. Nell’affrontare la questione della terra e della natura ecco che si evidenzia in tutta la sua grigia chiarezza qual è l’approccio spudoratamente cibernetico della moltitudine post-comunista:

«Il problema della proprietà è una questione assolutamente centrale nei dibattiti contemporanei sugli alimenti geneticamente modificati. Da molte parti è stato lanciato l’allarme sui cibi geneticamente modificati, sinistramente definiti “Frankenfoods”, i quali danneggerebbero gravemente la nostra salute e altererebbero in modo irreversibile l’ordine della natura. Quanti si oppongono alla sperimentazione genetica sulle specie vegetali ritengono che l’autenticità della natura e l’integrità delle sementi non debbano essere violate. A nostro parere, questo argomento puzza di teologia della purezza. (…) noi riteniamo invece che la natura e la vita, in quanto tali, siano di per sé già artificiali, e ciò diventa particolarmente chiaro a tutti nell’età del lavoro immateriale e della produzione biopolitica. Questo ovviamente non vuol dire che tutti gli interventi siano buoni: come tutti i mostri, anche i prodotti geneticamente modificati possono essere benefici o dannosi per la società. La migliore salvaguardia sarebbe quella di condurre gli esperimenti democraticamente, alla luce del sole e cioè sotto un controllo collettivo, cosa che viene in ogni modo impedita dalla proprietà privata. Abbiamo assolutamente bisogno di una mobilitazione permanente con cui esercitare un controllo democratico dei processi scientifici. Proprio come nei primi giorni della pandemia dell’Aids – quando i militanti di gruppi come Act-up divennero ben presto specialisti, riuscendo così a sfidare il diritto esclusivo degli scienziati di gestire la ricerca e le politiche sanitarie – anche oggi, i militanti devono diventare specialisti delle alterazioni genetiche e dei loro effetti, al fine di avviare un processo di controllo democratico. (…) Il problema, in altri termini, non è che gli uomini stiano sfidando la natura, ma è la natura che sta cessando di essere qualcosa di comune per diventare proprietà privata controllata esclusivamente dai suoi nuovi padroni.» (Moltitudine, pp. 214-215)

Occuparsi, ieri come oggi, delle lotte ecologiste è più che altro una questione strategica, un investimento di capitale militante per ottenere plusvalenze in termini di visibilità e reclutamento, e confrontandosi con i contadini i teorici della moltitudine rifuggono da ogni tentazione “passatista” che li spingerebbe verso una nostalgia che «anche quando non è immediatamente pericolosa, è comunque un segno di sconfitta. In tal senso, noi siamo sicuramente dei “postmodernisti”». Le politiche della moltitudine sono perciò «catastrofi sociali postmoderne», che agli occhi del potere imperiale «assomigliano alla mostruosità di un esperimento genetico finito male o alle terrificanti conseguenze dei disastri industriali, nucleari o ecologici. Tutto ciò che non ha forma ed è privo di ordine genera orrore. La mostruosità della carne non è un ritorno allo stato di natura: è un effetto sociale, una vita artificiale». Dunque, contro pericolose e reazionarie regressioni all’autenticità del bios, alla faccia della biopolitica, contro la spontaneità organizzata della natura e il ruolo che l’individualità affinata ha in essa, «qualsiasi discorso sulla vita deve tematizzare una vita artificiale, e cioè la vita in senso compiutamente sociale». Anticipando una moda discorsiva oggi molto in voga, l’avanzata della moltitudine corrisponderebbe dunque a un’invasione di mostri: «Frankenstein è finalmente diventato un membro della famiglia. In questo contesto, il discorso sugli esseri viventi si trasforma in una teoria della loro costruzione e dei possibili futuri che li attendono. Immersi come siamo in questa realtà instabile, messi a confronto con la deriva sempre più artificiale della biosfera e con la sistematica istituzionalizzazione del sociale, non possiamo che attenderci una continua proliferazione di mostri.» Ribadendo la spinta alla disumanizzazione che stiamo riscoprendo essersi affermata nel corso della tradizione cibernetica del secolo scorso, dai pensatori universitari ai movimenti dal basso il cerchio si chiude, il deserto del pensiero si espande e lo spirito si ritrova in catene, costretto a scambiare per libertà la sua mostruosa prigionia: «Deleuze decifrava la presenza del mostro nell’umano, affermando che l’uomo è l’animale che cambia la propria specie. Queste affermazioni vanno prese sul serio. I mostri stanno avanzando, e il metodo scientifico deve prenderne atto. L’umanità trasforma se stessa insieme alla storia e alla natura. In tal senso, il problema non è più quello di decidere se accettare o meno le tecniche che rendono possibili queste trasformazioni, ma è quello di imparare a usarle e di riconoscerne i benefici e i danni.» (pp. 227-229)

Ci risiamo: il disastro in corso provocato dall’autorità tecno-scientifica non dipende dalle procedure, da strumenti e materiali adoperati, dal livello di sfruttamento generalizzato che si porta dietro, ma è unicamente dovuto all’impossibilità di ciascuno di accedervi, a causa della privatizzazione che limita «l’accesso alle idee e all’informazione», che «ostacola la creatività e l’innovazione». La genetica come l’informatica potrebbero funzionare per il bene comune se si potesse tornare – ah, nostalgia canaglia! – a quella situazione di «creatività diffusa durante la prima ondata della rivoluzione cibernetica e dello sviluppo di Internet (…) resa possibile da una straordinaria apertura e accessibilità delle informazioni e delle tecnologie».

In perfetta continuità con il messaggio cibernetico, il problema diventa la fluidità della comunicazione e non il contenuto del messaggio e gli strumenti adoperati per diffonderlo, motivo per cui la malvagità dell’intelligenza artificiale o delle biotecnologie risiederebbe solamente nella cattura capitalista: «I microbiologi, i genetisti e gli scienziati che lavorano in campi affini sostengono con argomenti molto simili che le innovazioni scientifiche e l’avanzamento della conoscenza sono resi possibili unicamente dalla libertà di collaborare e dal libero scambio delle idee, delle tecniche e delle informazioni.» (p. 217)

 

 

Sommario 5.30

  • Introduzione con Sabotaggio riso OGM-TEA da Rai1
  • Sabotato il riso OGM-TEA, spuntano nuove sperimentazioni (con mobilitazioni contro Monsanto del maggio 2015 / Monsanto acquistata da Bayer nel settembre 2016) – TESTO
  • Milano, all’aeroporto di Linate arriva il face boarding, con  (TGCOM24, 7/5/2024)
  • TONG TONG, bambola meccanica o bambina robot? (Cina una bambina creata con AI fa compagnia agli anziani, TG1 26/4/2024 + Worlds First AI Child Tong Tong, AI adhoc 3/2/2024) – TESTO
  • Musk porta internet in Amazzonia gli effetti sulla tribu Marubo (TGCOM24, 5/6/2024)

 

Riferimenti 5.30

  • Organisation, Silver Forest (Tone Float, 1970)
  • Kraftwerk, Ruckzuck + Stratovarius (Kraftwerk I, 1970)
  • Spot Grazie Bayer (maggio 2020)
  • J Geco, Chicken Song (2013)
  • DJ Farm, The Chicken Song Techno Remix (2006)
  • J Geco, Chicken Song Remix (2016)
  • Krisma, Igloo Architecture (Iceberg, 1986)
  • Dmitri Shostakovich, Children’s Notebook Op. 69 (Tullio Forlenza plays Dmitri Shostakovich, 2008)
  • Garybaldi, Decomposizione, Preludio e Pace (Nuda, 1972)
  • Ondrej Adámek, Karakuri – Poupée mécanique (2011 –  Concerto dell’Ensemble Orchestral Contemporain al CRR di Rouen, 19/11/2013)
  • Klaus Schulze & Pete Namlook, Part III (The Dark Side Of The Moog Vol. 05 – Psychedelic Brunch, 1996)
  • Jorge Reyes & Suso Saiz, No Te Entiendo (Cronica De Castas, 1990)