Episodio 6.13

Episodio 6.13

Dopo la scoperta dei meccanismi di retroazione e i nuovi sviluppi nel campo della neurologia, la terza spinta che condurrà alle Conferenze Macy viene dall’ambito ancora in incubazione delle macchine calcolatrici. Il 6 e 7 gennaio 1945 si incontra la cosiddetta “Società Teleologica” creata da Wiener, Aiken e von Neumann, cui abbiamo già accennato, e la riunione, vera e propria prova generale dei futuri raduni dei cibernetici, si svolge all’Istituto per gli studi avanzati di Princeton. Il primo giorno intervengono von Neumann, sullo stato delle ricerche sui calcolatori, e Wiener, su quello dell’ingegneria della comunicazione, a cui seguì un dibattito animato; il secondo McCulloch affianca Lorente de Nó, come ricorderà Wiener, «nella convincente presentazione dell’attuale stato del problema dell’organizzazione del cervello» e delle potenziali applicazioni neurologiche della nuova tecnologia ancora senza nome.

McCulloch ha colto l’atmosfera dell’incontro, ricordando la giostra di von Neumann e Wiener intorno a un annoso problema di tecnologia elettronica, la questione della scatola nera nel contesto bellico: «A Lorente de Nó e a me (…) fu chiesto di considerare (…) due ipotetiche scatole nere rinvenute dagli Alleati presso i tedeschi. (…) Nessuno sapeva a cosa servissero, (ma entrambe le scatole nere) recavano indicazione di un ingresso e di un’uscita. (…) Norbert stava russando a pieni polmoni e la cenere del sigaro gli cadeva sulla pancia. Ma quando Lorente e io cercammo di rispondere, Norbert si alzò di scatto e disse: “Naturalmente potreste immettere una dopo l’altra tutte le possibili frequenze sinusoidali e registrare l’uscita, ma sarebbe meglio immettere un rumore, diciamo un rumore bianco”. Vidi la scintilla negli occhi di Johnny von Neumann. (…) Sapeva che uno stimolo, per un uomo o una macchina, deve essere conforme alla configurazione (…) dei suoi filtri (d’ingresso), e che il rumore bianco non avrebbe aiutato. Seguì un meraviglioso duello: Norbert inseguiva Johnny con un enorme bastone, e Johnny danzava intorno a Norbert con una spada: alla fine se ne andarono a pranzo sottobraccio.» (Flo Conway e Jim Siegelman, L’eroe oscuro dell’età dell’informazione, p. 218)

Wiener uscì molto gasato dal congresso: lo reputava un grande successo e pensava fosse giunta l’ora di creare un istituto apposito per lo sviluppo della nuova avventura interdisciplinare. Come ricorderà nella sua autobiografia: «In breve scoprimmo che persone attive in tutti quei campi cominciavano a parlare la stessa lingua, con un vocabolario di espressioni proprie dell’ingegnere della comunicazione, il servomeccanismo uomo, il calcolatore uomo, e del neurofisiologo. (…) Tutti loro erano interessati all’immagazzinamento delle informazioni. (…) Tutti trovarono che il termine retroazione (…) fosse un modo appropriato per descrivere fenomeni degli organismi viventi come delle macchine.» (Wiener, I Am a Matematician. The Later Life of a Prodigy, p. 269)

Per tutta la prima metà del 1945 Wiener e von Neumann rimangono in contatto, e Wiener cerca di convincere l’ungherese a trasferirsi al MIT dove sarebbe stato a capo del dipartimento di matematica e avrebbe avuto a disposizione un laboratorio tutto suo. Ma von Neumann aveva altri programmi. Infatti a giugno, proprio mentre veniva inaugurato l’ENIAC – il più grande agglomerato di circuiti elettronici mai assemblato prima di allora – von Neumann presentava, dapprima solamente nei canali segreti militari, la sua “Prima bozza di rapporto” sulla costruzione di una nuova, grandiosa macchina calcolatrice, l’EDVAC (Electronic Discrete Variable Automatic Computer), il cui progetto conteneva importanti innovazioni tra cui una struttura più logica delle macchine precedenti, un’unità di calcolo singola e centralizzata e una nuova capacità di “immagazzinare programmi” che sarebbero passati alla storia come “architettura di von Neumann” – la stessa presente tutt’oggi.

La nuova macchina progettata era più piccola e molto più flessibile di tutte le antesignane. Sarebbe stata la prima macchina davvero universale nel senso di Turing, capace di eseguire qualunque sequenza appropriatamente prescritta di operazioni, e nella descrizione fornita da Gentleman Johnny avrebbe posseduto tratti umani e «organi specializzati»: un’unità di elaborazione centrale o organo aritmetico, un «organo di controllo» logico, una «considerevole memoria» oltre a «organi di ingresso e uscita» specializzati. Nel suo rapporto l’unico documento citato era quello di McCulloch-Pitts del ’43 sulle connessioni neuronali, e fece ampiamente uso dell’analogia dei neuroni per giustificare «un uso coerente del sistema binario» dell’aritmetica, che rifletteva il carattere «tutto o niente» delle segnalazioni neuronali, gli «aggregati di tubi a vuoto», che fungevano da reti neurali e riverberi sinaptici dell’EDVAC, la sua memoria che corrispondeva ai «neuroni associativi del sistema nervoso umano», e infine gli organi di ingresso e uscita, ovvero «l’equivalente dei neuroni sensori o afferenti e motori o efferenti.» (“First Draft Report on the EDVAC, 1945)

Sebbene il progetto iniziale fosse opera di Mauchly e Eckert, la descrizione fatta quasi per intero da von Neumann adoperava per la prima volta un simile linguaggio per descrivere il funzionamento di una macchina, e le immagini evocate riecheggiavano – pur senza citarlo apertamente – il testo di Wiener-Bigelow-Rosenblueth. L’EDVAC così descritto era il primo calcolatore a combinare in un unico progetto tutti e cinque i suggerimenti che cinque anni prima Wiener aveva sottoposto all’attenzione di Vannevar Bush, oltre a comprendere anche elementi chiave del puntatore analogico antiaereo come i meccanismi di correzione degli errori operanti in base a principi di retroazione negativa. Bush non aveva seguito le proposte di Wiener né mai fatto circolare il suo memorandum, e probabilmente Norbert passò le sue osservazioni direttamente a von Neumann nel corso di uno dei loro tanti scambi informali. Wiener, che sognava una scienza per nulla segreta e al servizio dell’umanità e non degli interessi privati, aveva già subito qualche smacco e altri ne subirà, anche a causa del suo carattere, opposto a quello di von Neumann che era decisamente più in linea con lo spirito aggressivo del capitalismo tecnoscientifico e militare di allora. Sia il segreto militare, sia la diversità di vedute rispetto alla maggior parte degli scienziati, avevano provocato un rallentamento della circolazione delle nuove idee di Wiener, che si diffonderanno solamente grazie alle conferenze Macy; inoltre, ci fu una sorta di appropriazione indebita delle scoperte del matematico, che forse anche grazie al suo carattere particolare, all’epoca non si vide riconosciuti i giusti meriti: infatti sarebbe stato più corretto parlare della “macchina di Wiener-von Neumann”.

Nell’estate Wiener si intestardì nel suo tentativo di portare von Neumann a Cambridge, ignorando nel frattempo sia quale fosse il ruolo del matematico ungherese nel progetto atomico sia il rapporto presentato sul nuovo computer, dato che da alcuni mesi non riceveva più documenti secretati. Ma a fine novembre il matematico ungherese gli comunicò che aveva intenzione di rimanere a Princeton e che l’Istituto gli aveva concesso di farsi costruire il “suo” calcolatore EDVAC in collaborazione con una grande società elettronica, la RCA, nascondendogli che sarebbe servito per effettuare i futuri studi sulle nuove testate nucleari e che come soci nel progetto c’erano l’Esercito, la Marina e, più avanti, l’Aviazione e la nuova Commissione per l’Energia Atomica. Come se non bastasse, e proprio su suggerimento dello stesso Wiener, gli portò via il suo ingegnere Julian Bigelow, che divenne la figura chiave nello sforzo di far calare l’architettura di von Neumann in una macchina funzionante.

 

 

Sommario 6.13

 

Riferimenti 6.13

  • Felix Kubin, Musik für neue Büromaschinen + Martial Arts + Uhren (Takt der Arbeit, 2017)
  • Perigeo, (In) Vino Veritas (Genealogia, 1974)
  • Shanna, Il est interdit (2020 Radio Edit)
  • Peppe Barra, Vino drogato (La cantata dei pastori, 2004)
  • Bal des Crepidules, Poisson Volant (Featuring Yves-Marie Berthou) + Poisson-Flûte (Featuring René Lacaille) (Altavoz, 2019)
  • Palais Schaumburg, Stan Kenton (Hockey, 1983)
  • Dirty Granny Tales, Inversed World (Inversed World, 2008)

Episodio 6.12

Episodio 6.12

In memoria di Gianni Milano

Nell’autunno del 1943 Walter Pitts si trasferì al MIT per lavorare con Wiener, contribuendo a creare un ponte con McCulloch: si forma l’asse Cambridge-Chicago, e ben presto i tre iniziano a viaggiare anche verso Città del Messico, dove era tornato Rosenblueth come responsabile del laboratorio di fisiologia del nuovo Instituto nacional de cardiologia. A quel gruppo interdisciplinare sognato da Wiener, oltre a Lettvin si aggiunge Oliver Selfridge, un giovane inglese che si stava laureando in ingegneria al MIT, «pensatore creativo e ricercatore dalla mente rapida come Pitts, oltre che possessore di un’analoga vena di scelleratezza». Wiener adotta i tre giovani Pitts, Lettvin e Selfridge, che di frequente sono ospiti a casa sua, dove diventano amici delle figlie e della moglie Margaret, che prepara loro pranzetti assieme ai piatti vegetariani del marito e che talvolta si unisce ai loro scherzi: «gli mettevamo di nascosto del brodo di manzo nella zuppa, e la moglie ci spalleggiava» ricorda Selfridge. (Flo Conway e Jim Siegelman, L’eroe oscuro dell’età dell’informazione. Alla ricerca di Norbert Wiener, il padre della cibernetica, Codice, Torino 2005, p. 209-210)

Da una decina d’anni, intanto, Wiener aveva stretto solidi rapporti con un altro genio matematico, John von Neumann. Figlio di un ricco banchiere ebreo di Budapest che aveva da poco acquistato il titolo nobiliare, si era distinto fin da bambino per le sue straordinarie capacità intellettuali; in seguito era divenuto professore a Gottinga dove aveva elaborato una “teoria dei giochi” matematica – dovuta anche alla sua passione sfrenata per il gioco d’azzardo. Nel l933 si trasferisce a Princeton all’Institute for Advanced Study e negli anni successivi conosce Wiener nel corso di varie conferenze: i due iniziano ad avere fitti scambi di opinioni e a invitarsi reciprocamente a casa, anche con le consorti. I Wiener lo chiamano “Gentleman Johnny”, infatti a differenza degli stereotipi sui bambini prodigio e i professori di matematica sgangherati e con la testa tra le nuvole, vestiva elegante, parlava in modo forbito e sprigionava fascino ungherese.

Tra i due, era Wiener a essersi interessato maggiormente al calcolo assistito da una macchina, anche se von Neumann fu stimolato dalla presenza, dal 1936 al ’38, di Alan Turing a Princeton per «affinare le idee della sua dissertazione in embrione che introduceva il concetto di “macchina universale” per fare matematica», ma fu solamente quando la Seconda mondiale piombò sull’America che il suo interesse divenne concreto e non soltanto teorico. Come scrive Wiener, «la costruzione dei calcolatori si era dimostrata essenziale agli scopi bellici (…) e stava procedendo in diversi centri secondo linee non troppo differenti da quelle che il mio primo rapporto aveva indicato. Harvard, l’Aberdeen Proving Ground e l’Università di Pennsylvania stavano già costruendo macchine, mentre l’Institute for Advanced Study di Princeton e il Massachusetts Institute of Technology vi si sarebbero impegnati di lì a poco.» (Norbert Wiener, La cibernetica, p. 38) Inoltre, ai Laboratori Bell, George Stibitz prese ad assemblare il suo “calcolatore di numeri complessi” binario usando un cumulo di commutatori telefonici a due posizioni; nel 1939 alla Iowa State University, John Atanasoff rivelò il suo prototipo di calcolatore “ABC” a cui lavorava già da due anni assieme al suo laureando Clifford Berry, che era «la prima macchina digitale che ricorreva ai tubi a vuoto come componenti di calcolo, disponeva di una memoria rudimentale e di speciali “circuiti logici”». Sempre lo stesso anno gli ingegneri dell’IBM iniziarono a lavorare, sotto la direzione del professore di matematica di Harvard Howard Aiken, all’IBM Mark I, «il primo calcolatore digitale su larga scala che eseguiva le operazioni nel modo prescritto da Turing, seguendo automaticamente istruzioni logiche impresse in sequenza su un lungo nastro di carta», la cui progettazione era più primitiva di quella dell’ABC, infatti gestiva i numeri con il sistema decimale e non binario, e usava relè elettromeccanici e non tubi a vuoto. (Conway-Siegelman, p. 155)

«In questo programma vi fu un graduale progresso dai complessi meccanici a quelli elettrici, dal sistema decimale a quello binario, dal relè meccanico a quello elettrico, dall’operazione diretta dall’uomo a quella automatica. In breve, ogni nuova macchina veniva sempre più conformandosi al promemoria da me inviato al dottor Bush.» (Wiener, Introduzione alla cibernetica, p. 38) Wiener si riferisce a un memorandum che aveva inviato a Vannevar Bush, che negli anni Trenta aveva creato un prototipo di macchina calcolatrice, allorché nell’estate del 1940 vi aveva dedicato gran parte della sua attenzione, convincendosi che il suo limite «era quello della rappresentazione delle funzioni a più d’una variabile. Ero anche convinto che la soluzione del problema risiedeva nel procedimento di scansione, come viene impiegato in televisione, e infatti la televisione era destinata a essere più utile all’ingegneria per l’introduzione di questa nuova tecnica che non come industria indipendente. Era chiaro che un processo di scansione doveva accrescere considerevolmente il numero dei dati in gioco, rispetto al numero di dati in un problema di equazioni differenziali alle derivate ordinarie. Per ottenere risultati ragionevoli in un tempo ragionevole, diventava perciò necessario spingere al massimo la velocità dei processi elementari ed evitare di interrompere il flusso di questi processi con passi di natura essenzialmente più lenta. Diventava inoltre necessario portare l’esecuzione dei processi elementari a un grado di precisione tanto elevato da impedire che l’enorme ripetersi dei processi elementari stessi determinasse un errore cumulativo tale da riuscire inaccettabile. Venne quindi suggerito quanto segue:

  1. Che l’apparato centrale di somma e moltiplicazione della macchina calcolatrice fosse numerico, come in una normale addizionatrice, piuttosto che su una base di misura, come nell’analizzatore differenziale di Bush.
  2. Che questi meccanismi, i quali sono essenzialmente dispositivi di commutazione, fossero basati su tubi elettronici piuttosto che su ruotismi o relè meccanici, al fine di assicurare un’azione più rapida.
  3. Che, in accordo con gli orientamenti seguiti nella costruzione di alcuni apparati dei Bell Telephone Laboratories, sarebbe probabilmente risultato più economico adottare il sistema di numerazione binario, anziché quello decimale, per l’addizione e la moltiplicazione.
  4. Che l’intera sequenza delle operazioni venisse a svolgersi nella macchina, senza alcun intervento umano dal momento dell’ingresso dei dati a quello del prelievo dei risultati finali, e che tutte le decisioni logiche a ciò necessarie venissero anch’esse affidate alla macchina.
  5. Che la macchina contenesse un apparato per l’immagazzinamento dei dati in grado di registrarli rapidamente, di conservarli fino a cancellazione, di leggerli rapidamente, di cancellarli rapidamente, e di essere quindi immediatamente pronto all’immagazzinamento di altro materiale.» (Norbert Wiener, Introduzione alla cibernetica, pp. 26-27)

Con l’inizio della guerra, von Neumann divenne consulente del laboratorio di ricerca balistica dell’Aberdeen Proving Gound e dell’Ufficio munizioni della Marina, e nel 1943 entrò a far parte del segretissimo Progetto Manhattan. Quell’anno, inoltre, si recò in Inghilterra per osservare gli sforzi bellici britannici e vedere gli sviluppi pratici delle idee di Turing nella costruzione di un apparecchio per decifrare i codici tedeschi: la visita rinnovò i suoi interessi per la matematica meccanizzata e, per sua stessa ammissione, contribuì a sviluppare un «interesse osceno» per i computer. (Conway-Siegelman, p. 214) Ritornato in America, ad Aberdeen trovò però il nuovo calcolatore analogico di Bush da 100 tonnellate – completato l’anno prima – già sopraffatto dal lavoro di computare le tabelle di tiro per la nuova artiglieria. Intanto, lì vicino, alla Moore School di ingegneria elettrica dell’Università della Pennsylvania, una squadra mista di militari e civili guidata dal fisico John Mauchly e dall’ingegnere Presper Eckert stava costruendo un nuovo calcolatore digitale chiamato ENIAC (Electronic Numerical Integrator and Calculator). Von Neumann seppe della sua esistenza soltanto l’anno successivo, durante il suo lavoro teorico sulla bomba, e iniziò ad adoperarlo per escogitare nuovi modi di applicazione del calcolatore all’oscura materia della fissione atomica, cominciando nel frattempo a proporre miglioramenti in vista del successore dell’ENIAC, un calcolatore ancor più potente già in fase di progettazione.

 

 

Sommario 6.12

 

Riferimenti 6.12

  • Eruption, Eruption part I + part II + part V + part VI (Eruption – Conrad Schnitzler, Wolfgang Seidel, Klaus Freudigmann, 1970)
  • Steven Stapleton & David Tibet, The Dead Side of the Moon (Musical Pumpkin Cottage, 1996)
  • Nurse with Wound, Colder Still (Thunder Perfect Mind, 1992)
  • Fanfara Tirana, Mediterranè #1 (Albanian Wedding, 2007)
  • Spiritual Front, Requiem Æternam (Black Hearts In Black Suits, 2013)
  • Gianni Milano & Timoria, Uomo nudo blues (Timoria live: generazione senza vento, 2003)

Episodio 6.11

Episodio 6.11

Applicabile tanto alla rete neurale quanto a un computer elettronico, il modello presentato da McCulloch e Pitts assumeva la forma di riduzionismo sia organico sia meccanicistico, dove l’evento psichico, l’esperienza associata all’attività neuronale, non è altro che un epifenomeno e occupa una posizione marginale. L’approccio di McCulloch non aveva molto in comune con le contemporanee tendenze delle scuole di psicologia e psichiatria: l’attenzione che riservava al pensiero e alla mente era irrilevante da un punto di vista comportamentista; l’enfasi posta sulla logica proposizionale e sulla fisiologia era di scarso interesse per gli psicanalisti; il disinteresse per il processo dello sviluppo individuale, dall’infanzia all’età adulta, lo escludeva dal campo di indagine della psicologia evolutiva; il riduzionismo atomistico sembrava in contrasto con le premesse implicite nella psicologia della Gestalt e il fatto di privilegiare il meccanismo sull’esperienza soggettiva lo poneva in disaccordo con i fenomenologi. Come nel caso di Wiener, anche lui predicava nel deserto.

McCulloch come formazione era un filosofo. All’inizio si era interessato «al problema di come sia mai potuta nascere una cosa come la matematica e che genere di oggetto essa fosse», poi gradualmente «scivolai verso la psicologia e di lì, dato che non riuscivo a trovare variabili significative, mi sentii spinto verso la neurofisiologia.» (Steve J. Heims, I cibernetici. Un gruppo e un’idea [1991], Rusconi, Milano, 1994, pp. 37-38) La domanda che si pose, e che lo seguì per il resto della sua avventura scientifica, era: “Che cos’è un numero che un uomo possa conoscere, e cos’è un uomo che può dire di conoscere un numero?”. Ma per darsi una risposta all’inizio si rivolse all’animale, allorché negli anni Trenta prese come oggetto/vittima delle sue ricerche alla Medical School dell’università di Yale gli scimpanzè. Come dice Steve Heims, «McCulloch studiò in particolare la corteccia cerebrale, quella materia grigia che forma lo strato più esterno degli emisferi cerebrali e che svolge un ruolo centrale di connessione con le funzioni mentali più raffinate e complesse. Nell’esperimento divenuto oramai classico, McCulloch e i suoi collaboratori attivando una specifica regione della corteccia cerebrale con una scarica elettrica o un’applicazione di stricnina facevano viaggiare un impulso elettrico da una cellula nervosa o da un gruppo di cellule nervose all’altro secondo un percorso caratteristico del particolare punto stimolato. L’espansione dello stimolo era registrata attraverso una serie di elettrodi posti in vari punti sulla superficie della corteccia cerebrale. Scopo di questo e di altri esperimenti era quello di disegnare una mappa dei “tracciati funzionali” della corteccia, le strade attraverso le quali gli impulsi viaggiano nel cervello.» (Ibid.)

McCulloch stabilì una corrispondenza formale tra la logica, che si basa su proposizione vere o false, e il funzionamento dei neuroni che possono essere “accesi” o “spenti”; inoltre nella corteccia cerebrale questi sono collegati tra loro in modo che l’eccitazione di uno porta all’eccitazione a catena degli altri, analogamente alle proposizioni logiche dove la verità di una implica la verità della successiva. Di qui, oltre alla possibilità di «considerare le reti neurali come funzionalmente equivalenti a una macchina tuttofare o a un computer capace di ragionamento logico», si sarebbe potuto «attraverso l’uso combinato di una rigorosa logica formale e di accurati esperimenti neurofisiologici (…) capire scientificamente in che modo noi conosciamo i numeri e altre cose.» (Ibid.)

Warren McCulloch, come molti altri templari della cibernetica, non deve essere visto con lo stereotipo del «meccanicista freddo e coercitivo, ossessionato dal potere e dall’efficienza.» (Steve J. Heims, I cibernetici. Un gruppo e un’idea [1991], Rusconi, Milano, 1994, p. 45) Persona generosa che amava lavorare con gli altri, era al tempo stesso uno spirito individualista e anticonformista, fuori dagli schemi di pensiero dominanti negli anni ’30-40. «Anche Clerk Maxwell, interessato solo a capire la relazione tra pensiero e moto molecolare del cervello, liquidò i suoi dubbi con la famosa frase “ma la strada che vi conduce non passa forse per il profondo antro del metafisico, coperta dalle ossa dei precedenti esploratori e detestata da ogni uomo di scienza?”. Lasciateci semplicemente rispondere “Sì” alla prima metà della domanda e “No” alla seconda metà e quindi proseguire serenamente. La nostra avventura è per il momento una grande eresia.» (Warren McCulloch, “Through the Den of the Metaphysician”, testo della conferenza tenuta al Philosophical Club dell’università della Virginia il 23 marzo 1948. In Embodiments of Mind, MIT Press 1965)

La grande scelta che la cibernetica stava compiendo, paradossalmente come risposta al male che si era manifestato durante la seconda guerra mondiale, era di equiparare prima nella teoria e poi nella pratica gli esseri umani alle macchine, ma ciò poteva avere strane ripercussioni; lo stesso McCulloch, già avanti negli anni, nel corso di un’animata discussione sulla metafora della macchina disse abbastanza seccamente: «Non amo particolarmente la gente, non l’ho mai amata. Per me l’uomo è forse il più cattivo, il più distruttivo di tutti gli animali. Se saprà costruire macchine capaci di divertirsi più di quanto non faccia egli stesso, non trovo ragioni per oppormi al fatto che queste possano prendere il controllo e sottometterci felicemente.» (Citato in Mary Catherine Bateson, Our Own Metaphor, 1972, p. 226)

Al contrario, in più occasioni parlò di intesa se non amore con le macchine, che d’altronde dimostrava nella pratica quotidiana riparando, usando e costruendo macchine a casa sua, dalle automobili agli strumenti di laboratorio, e alla fine della carriera quando era in Inghilterra a studiare l’intelligenza artificiale, sostenne che si sarebbero potute progettare macchine in grado di «provare emozioni, allucinazioni o deprivazioni sensoriali». (“Where Is Fancy Bred?” in Lectures on Experimental Psychiatry, 1961 – poi in Embodiments of Mind) Insomma, sognava – e progettava – di «umanizzare le macchine», anche perché in cuor suo vedeva gli esseri umani come «macchine che pensano e che vogliono». (“Machines That Think and Want”, inizialmente intitolato “Brain and Behavior”, in Comparative Psychology Monograph 20, N. 1, 1950 – poi in Embodiments of Mind)

Nella conferenza del settembre 1948 su computer e meccanismi cerebrali, sponsorizzata dalla fondazione Hixon e tenutasi al California Institute of Technology di Pasadena, ammise che gli esseri umani andavano distinti dai robot sia per il processo di sviluppo individuale attraverso l’interazione con l’ambiente, sia per «la gioia di creare ideali, nuovi ed eterni». (“Why the Mind Is in the Head”, in Cerebral Mechanisms in Behavior, 1951 – poi in Embodiments of Mind) Eppure in altre occasioni avrebbe minimizzato o negato questa distinzione, come durante la sua lezione sui robot etici alla 13a conferenza su Scienze, filosofia e religione del settembre 1952 quando, prendendo spunto dalla teoria di von Neumann sugli automi che si autoriproducono e sul fatto che si può rendere una macchina capace di apprendere e quindi migliorarsi, McCulloch suggerì che sia possibile «considerare l’Uomo stesso come un prodotto di un processo evolutivo di sviluppo dei robot, generati da robot più semplici, e così indietro fino alla melma primordiale; e guardo alla sua condotta etica come a qualcosa da interpretare nei termini dell’azione a circuito di quest’Uomo nel suo ambiente – una macchina di Turing con solamente due feedback determinati: il desiderio di giocare e il desiderio di vincere». (“Toward Some Circuitry of Ethical Robots or an Observational Science of the Genesis of Social Evaluation in the Mind-Like Behavior of Artifacts”, Acta Biotheoretica, Vol. XI 1956) – poi in Embodiments of Mind)

 

 

Sommario 6.11

 

Riferimenti 6.11

  • Karl Hector & The Malcouns, The Spirit Of Gine + Who’s Foolin’ Who? + Mission Control + Karadeniz (Unstraight Ahead, 2014)
  • Psyche/BFC, Neurotic Behavior (Elements, 1989-1990)
  • Steven Stapleton & David Tibet, The Dead Side of the Moon (Musical Pumpkin Cottage, 1996)
  • Nurse With Wound, Cold (Thunder Perfect Mind, 1992)
  • Humanwine, What Kidz Sey (For Burning Cities Present, 2004)
  • The Velvet Underground, European Son (The Velvet Underground & Nico, 1967)
  • The Clockwork Dolls, Compilation of Incomplete Instrumental Sketches [And Then Some] (The Complete Instrumental Collection, 2011)
  • Eskorbuto, Cerebros Destruidos (Anti Todo, 1987)

Episodio 6.10

Episodio 6.10

Prima di affrontare le tavole rotonde cibernetiche delle conferenze Macy, è utile capire quale fosse lo spirito con cui vi si accostarono i “cavalieri della causalità circolare” (Conway-Siegelman, titolo del cap. 7) che stavano introducendo nelle scienze un punto di vista assolutamente rivoluzionario, basato sui nuovi principi della comunicazione scoperti da Wiener ed esposti nel maggio 1942 da Rosenblueth, per cui le informazioni tornano continuamente alla fonte per indicare quanto esse stesse stessero deviando dall’obiettivo e quali correzioni fossero necessarie al sistema per raggiungere lo scopo. La loro «nozione di intenzionalità suonava come un’eresia: l’idea stessa di azione intenzionale sfidava il paradigma di causa ed effetto che dominava la scienza; implicava infatti che nessuna nozione ultima o risultato finale potesse cagionare un’azione precedente nel tempo». I sostenitori di questo schema avevano messo al bando qualunque traccia di intenzionalità tanto negli oggetti inanimati quanto nelle creature viventi: filosofi e scienziati riduzionisti, «seguendo le orme di Russell e Whitehead in Inghilterra, di Wittgenstein e dei suoi epigoni dell’autorevole Circolo viennese dei “positivisti logici” e dei comportamentalisti in senso stretto che dominavano la psicologia americana», nella loro urgenza di conferire maggior rigore alla mente umana «avevano eliminato qualunque riferimento alla stessa parola “mente” e, con essa, all’intero regno soggettivo delle esperienze umane, delle emozioni, della volontà e di altri dibattuti “stati interiori” che non potessero essere immediatamente rilevati dai sensi, descritti matematicamente o verificati in via sperimentale.» (Conway-Siegelman, p. 195-196) E pochi mesi dopo, nell’articolo “Comportamento, fine e teleologia” (Bigelow-Rosenblueth-Wiener, gennaio 1943), oltre all’intenzionalità e alla causalità circolare i tre avevano ripescato da Aristotele il concetto di teleologia o causa ultima: «il loro manifesto divenne una pagliuzza nell’occhio dell’ortodossia regnante» e «fornì una spiegazione logica per la comparsa in natura di comportamenti intenzionali e intelligenti senza ricorrere alla metafisica o all’intervento divino, ed espose un programma sistematico per mettere in pratica i nuovi principi in un’ampia gamma di applicazioni scientifiche e tecniche.» (p. 200)

L’intervento di Rosenblueth aveva colpito tutti e in particolar modo i neurologi. Già da una decina d’anni Lawrence Kubie aveva pubblicato uno dei primi documenti «in cui si sosteneva che nelle reti neuronali del cervello potevano presentarsi onde circolari di attività elettrica» che si sarebbero «mosse lungo percorsi che in ultima istanza le avrebbero riportate al punto di partenza» (L. Kubie, “A Theoretical Application to Some Neurological Problems of the Properties of Excitation Waves Which Move in Closed Circuits”, Brain n° 53, luglio 1930), la cui esistenza era stata confermata pochi anni dopo da Rafael Lorente de Nó del Rockfeller Institute. Il più elettrizzato fu indubbiamente Warren McCulloch. Di quattro anni più giovane di Wiener, dopo aver studiato filosofia e psicologia, divenuto dottore in medicina nel 1927 aveva creato la prima mappa dell’anatomia funzionale della corteccia, ipotizzando che le reti neurali funzionassero con l’attivazione o meno di segnali eseguendo complesse somme matematiche in sequenze elaborate di “affermazioni” elettrotecniche. La sua grandiosa ipotesi «che il cervello umano fosse un piccolo motore elettrico per svolgere operazioni di logica matematica, sembrava spiegare come il cervello eseguisse i processi razionali di inferenza logica, deduzione, calcolo numerico, oltre che le funzioni base di percezione sensoriale e le operazioni di ordine più elevato della mente, come il linguaggio, l’apprendimento e la memoria.» (201-202) Ma a questo punto si era imbattuto in un ostacolo inatteso, qualcosa di assolutamente illogico, l’esistenza all’interno delle articolate reti del cervello di inspiegabili spire di connessioni circolari, che contraddicevano tutto quanto da lui scoperto.

L’enigma restò irrisolto anche dalla sua nuova equipe del laboratorio di ricerca presso l’Istituto neuropsichiatrico della Scuola medica dell’Università dell’Illinois a Chicago, in cui si trasferì alla fine del 1941, finché non incontrò un altro “ragazzo prodigio della matematica”, Walter Pitts. Figlio di proletari, scappò di casa per le percosse del padre andando a vivere per strada. Quando, fuggendo da un gruppo di ragazzi che volevano picchiarlo, si rifugiò in una biblioteca e si nascose tra gli scaffali, trovò i Principia Mathematica: rimase in biblioteca tutta la settimana finché non finì i tre volumi, poi si sedette, scrisse una critica di una lunga sezione del primo volume e la spedì a Russel in Inghilterra. A soli tredici anni fu invitato in Europa da Russel a studiare a Cambridge, poi tornò negli Stati Uniti due anni dopo, a Chicago, dove studiò con Rudolf Carnap, leader del circolo viennese dei positivisti logici che si era da poco trasferito in America. Quando anche McCulloch si trasferì in quella sede, il professore di ingegneria elettrica e biomedica Jerome Lettvin glielo presentò, e poco dopo entrambi si trasferirono ad abitare a casa McCulloch. Nel giro di poche settimane avevano analizzato il flusso dei segnali attraverso le diramazioni del cervello, nel tentativo senza precedenti di «comprendere come il cervello operava per essere il meccanismo dei processi mentali.» (Lettvin, in McCulloch-Sturgis, Collected Works of Warren McCulloch, vol. 1, 1989)

Uscito poco dopo l’articolo di Wiener-Bigelow-Rosenthal, il primo documento firmato McCulloch-Pitts – “Un calcolo logico delle idee immanenti al sistema nervoso” (Bulletin of Mathematical Biophysics, n° 5, 1943) – fu altrettanto profondo e rivoluzionario. Dimostrarono che le tutte le attività «che siamo avvezzi a chiamare mentali sono rigorosamente deducibili dalla presente neurofisiologia», spiegando come le più semplici esperienze sensoriali potessero essere “elaborate” logicamente dal cervello dai segnali condotti all’organo dai recettori della pelle. Inoltre tracciarono il primo modello schematico di una “rete di neuroni” logica provando la correttezza della loro proposizione per cui «ogni idea e ogni sensazione si compie per l’attività di quella rete»; addirittura dimostrarono come potessero essere elaborati i processi mentali più complessi, come l’apprendimento e la memoria, conducendo alla formazione di nuove sinapsi fra i neuroni. Infine, attingendo al nuovo concetto di causalità circolare, costruirono una serie di teoremi che descrivevano l’azione nelle «reti con circoli» neurali dimostrando come queste potessero dar vita a cicli autoalimentati di attività elettrica, e come «quell’attività potesse essere lanciata in un circuito e continuare a riverberare in esso per un periodo di tempo indefinito», fenomeno che secondo loro poteva creare memorie durature attraverso la sola azione elettrica. Circostanza ancor più importante, metteva le reti di elaborazione cerebrali nelle condizioni di «prevedere il futuro in base alle attività presenti», motivo per cui il loro modello spiegava i «sistemi che (…) presentano una condotta finalizzata» nell’uomo e negli altri organismi che possedevano sistemi analoghi.

Stabilirono poi un altro portentoso collegamento. Il loro originale calcolo cerebrale descriveva un nuovo ordine di attività di elaborazione “immanente”, innato al cervello, che si conformava quasi alla perfezione alla definizione data da Alan Turing di calcolatore “universale”, come sintetizzò McCulloch quello «in grado di calcolare qualunque sequenza logica di dati immessi o, per usare le parole di Turing, di calcolare qualunque numero calcolabile.» (Ibid.) Malgrado tutte le intuizioni, i due rimasero ai margini e non destarono l’attenzione della principale corrente dello studio neurologico, e nemmeno quella di filosofi e psicologi; tuttavia il documento si diffuse tra le reti dei matematici e degli ingegneri che lavoravano alla teoria e alla progettazione delle nuove macchine calcolatrici elettroniche, e alla fine il loro lavorò sarà riconosciuto come una tappa fondamentale nell’evoluzione del calcolo digitale, come l’opera fondante nel campo dell’intelligenza artificiale e come catalizzatore cruciale nel progetto postbellico di creare il “primo cervello elettronico del mondo”.

 

 

Sommario 6.10

  • Introduzione con Pekka Lundmark, CEO Nokia
  • Caterpillar legge Bruno Geda – S.O.S. Save Our Souls
  • Raoul Dalmasso CIBERNETICA DEL WETWARE. Un’etnografia cyberpunk (Rivista Malamente n°35, gennaio 2025) – PRIMA PARTE
  • Il robot “Pepper” della giapponese SoftBank Robotics (TgR Liguria, 10/1/2025)
  • Verbania: intossicazione alla festa della Polizia Locale, trovato lassativo (Vco Azzurra TV, 23/1/2025)

 

Riferimenti 6.10

  • Χαΐνηδες (Chainides), Πνοή [Instrumental] + Αναζήτηση [Instrumental] (To drakodonti / O giteftis kai to drakodonti, 2005)
  • Χαΐνηδες (Chainides), Κοντυλιές της αυγής + Hitzaz Longa + Outi Taximi Ousak – Kartzigar (O giteftis / O giteftis kai to drakodonti, 2005)
  • Cockney Rebel, Death Trip (The Human Menagerie, 1973)
  • Steven Stapleton & David Tibet, The Dead Side of the Moon (Musical Pumpkin Cottage, 1996)
  • Nurse With Wound, Bone Frequency (con Inflatable Sideshow) + Angle (con Chris Wallis & Peat Bog) + Animal or Vegetable (con Stereolab) (The Swinging Reflective, Favourite Moments of Mutual Ecstacy, 1999)
  • The Clockwork Dolls, Compilation of Incomplete Instrumental Sketches [And Then Some] (The Complete Instrumental Collection, 2011)
  • Roberto Benigni, L’inno del corpo sciolto (1979)
  • Neri Parenti, Natale sul Nilo (2002)
  • The Clockwork Dolls, Compilation of Incomplete Instrumental Sketches [And Then Some] (The Complete Instrumental Collection, 2011)

Episodio 6.9

Episodio 6.9

Il “Seminario sull’inibizione mentale” si tenne al Beekman Hotel di New York dal 13 al 15 maggio 1942 e fu patrocinato dalla fondazione Macy, che sostenne le spese di viaggio e soggiorno ma non pagò alcun onorario ai partecipanti. L’intervento che destò più interesse fu quello di Arturo Rosenblueth, che illustrò i risultati delle riflessioni che stava facendo con Bigelow e Wiener. Quest’ultimo conosceva il neurofisiologo messicano già dal 1933, quando aveva iniziato a frequentare le “cene a tema scientifico” organizzate da Rosenblueth ad Harvard: in lui aveva subito trovato una «anima gemella scientifica» giacché «entrambi consideravano la scienza come un’impresa che esigeva collaborazione». (Flo Conway e Jim Siegelman, L’eroe oscuro dell’età dell’informazione. Alla ricerca di Norbert Wiener, il padre della cibernetica, Codice, Torino 2005, p. 126) Come ricorderà Wiener, l’argomento di gran parte delle loro discussioni riguardava «l’applicazione della matematica, e in particolare della teoria della comunicazione, al metodo biologico» (Norbert Wiener, I Am Mathematician: The Later Life of a Prodigy, p. 171) e un decennio più tardi si era rivolto a lui nel tentativo di risolvere alcuni problemi di oscillazione riscontrati nel prototipo di sistema di puntamento antiaereo. Questi problemi ricordavano a Rosenblueth «un bizzarro e analogo disordine neurologico noto come “tremore intenzionale”» che i neurofisiologi facevano risalire a «un difetto dei circuiti del cervelletto, la regione del cervello che coordina il movimento dei muscoli», ed entrambi trovarono impressionante l’analogia tra il disturbo tecnologico e quello neurologico. Grazie al contributo di Rosenblueth e alle sue conoscenze sull’omeostasi, Wiener e Bigelow avevano stabilito delle «connessioni tra la retroazione in senso tecnico, quella fisiologica e gli innumerevoli circuiti completi di retroazione delle reti elettriche e del cervello umano». (Conway-Siegelman, p. 180)

Considerata in senso più generale, la direzione intrapresa stava gettando le basi della cibernetica. Pur discostandosi dal comportamentismo classico, la loro idea «era quella di riconoscere in un’ottica comportamentista, determinate attività degli organismi e analizzarle in termini di funzionamento di macchine analoghe», introducendovi il concetto di finalità e superando la tradizionale opposizione tra finalità e meccanicismo: «d’ora innanzi si sarebbe potuto parlare esplicitamente e concretamente di “meccanismi teleologici”.» (Steve J. Heims, I cibernetici. Un gruppo e un’idea [1991], Rusconi, Milano, 1994, p. 18) Ciò rifletteva un mutamento più generale delle scienze, non solo matematiche: da un alto, alla classica visione lineare secondo cui la causa precede l’effetto, si stava sostituendo un modello basato sulla “causalità circolare”; dall’altro, si riconosceva che l’effetto della retroazione o feedback (solitamente negativo) agiva tanto all’interno delle macchine quanto degli organismi. Tra i presenti alla conferenza, a rimanere più affascinati dal modello proposto da Rosenblueth furono indubbiamente Bateson e McCulloch. Il primo intravide potenzialità di applicazione nelle scienze sociali di un modello – «il dinamismo di un sistema circolare di feedback, di cui una parte rimanda a una persona, un’altra a un segnale che trasporta informazioni e il resto all’ambiente» (Heims, p. 20) – talmente chiaro da poter essere espresso in linguaggio matematico. Lo psichiatra fu attratto dall’idea «di porre il comportamento umano (e quindi necessariamente parti del sistema nervoso) nella stessa categoria di alcune apparecchiature», dato che «stava già pensando a macchine ipotetiche (una classe di computer complessi) come modelli per la mente e il cervello dell’uomo.» (Ibid.)

Dopo alcuni anni di pausa dovuti anche al fatto che la maggior parte dei ricercatori era impegnata nello sforzo bellico, fu proprio McCulloch a sollecitare Fremont-Smith, subito dopo la resa del Giappone, a continuare a organizzare conferenze simili, per riprendere il filo interrotto del discorso. Nacquero così le vere e proprie conferenze Macy, con l’organizzazione del primo “Incontro sui meccanismi di feedback e sui sistemi di causalità circolare in biologia e nelle scienze sociali”, che si tenne nello stesso hotel l’8 e 9 marzo 1946. In questa che è considerata la prima vera conferenza cibernetica, oltre ai contributi dei matematici le scienze biologiche e sociali avrebbero dovuto rivestire un ruolo centrale, sebbene gli scienziati sociali fossero poco rappresentati poiché Bateson, trattenuto nel sud-est asiatico, non era tornato in tempo per convincere a includere un maggior numero di scienziati sociali e comportamentisti nel ristretto gruppo di invitati. Inoltre, in tutte le conferenze, tra le scienze sociali primeggiarono psicologia e psichiatria, seguite da antropologia, sociologia e alla fine linguistica, escludendo economia e politica nel timore di destare malumori e controversie. «Il tono del dibattito doveva rimanere neutro, scientifico e apolitico. (…) Il gruppo della Macy si attenne prudentemente ad argomenti “scientifici” e gli oratori invitati non furono del tipo che potesse introdurre nel discorso istanze di sinistra. La scelta a favore del meccanicismo e della psicologia (atomistica), inoltre favorì la spoliticizzazione del dibattito.» (Heims, p. 22)

 

 

Sommario 6.9

  • Introduzione con Pedro Sanchez al World Economic Forum (22/1/2025)
  • Caterpillar legge Bruno Geda – Nel nome della nostra sicurezza… Amen!
  • A Brescia attiviste di Extinction Rebellion costrette a spogliarsi in questura (gennaio 2025)
  • Walter Chiari, Le pillole (Canzonissima, 1968)
  • Leading cause of death in the United States is medical intervention (2024)
  • LABORATORIO EUROPEO DI CUORI ARTIFICIALI (TgLeonardo, 4/12/2024)
  • Miguel Amorós – Globalizzazione e geopolitica (17 dicembre 2024) (con introduzione di Mark Rutte, Segretario generale della NATO) – SECONDA E ULTIMA  PARTE (Testo)
  • J-(V)Ax: “Per tutti i soldi del mondo avrei detto anche Ave Satana!”  (Porta a porta, 21/09/2021 + Le Belve, 16/11/2022)

 

Riferimenti 6.9

  • Ramzi Aburedwan, Rahil + Sodfa (Reflections of Palestine, 2012)
  • Nino Rota, Adieu (Romeo e Giulietta, 1968)
  • Unwoman, Bad Man [Instrumental Version] (War Stories Instrumentals, 2018)
  • The Electric Flag, Senior Citizen (The Trip, 1967)
  • The Electric Flag, Soul Searchin’ (An American Music Band, 1968)
  • Dino Sarti, Professore, mi dà una pastiglia (p. interr.) (Omonimo, 1977)
  • Coil, The Hellraiser Theme + The Hellbound Heart + Vanishing Point (Unnatural History, 1995)
  • El Bicho, La suite + Caradura (Deimaginar, 2009)
  • Campagna nazionale di vaccinazione anti-Covid 19 – Riprendiamoci il gusto del futuro (2021)
  • Skubalibre, Pigliate ’na pastiglia (gennaio 2025)

Episodio 6.8

Episodio 6.8

Se nelle scorse puntate ci siamo focalizzati sulle fasi del concepimento e dell’incubazione di quella che soltanto nel 1947 sarà battezzata cibernetica, per assistere alla sua vera e propria nascita bisogna uscire dall’ambito degli studi di fisica e matematica e delle applicazioni militari di ingegneria ed elettrotecnica, per immergerci nel clima socio-politico postbellico degli Stati Uniti dove, mentre si consolidava il predominio internazionale a livello strategico, economico e culturale, nel paese dominava un “progressismo conservatore”. Sono anni di boom economico, con l’espansione urbana spinta dai mezzi di trasporto individuale a motore, l’ascesa della classe media e del consumismo di massa, la progressiva invasione delle tecnologie domestiche e dei nuovi mezzi di comunicazione e intrattenimento; ma al tempo stesso di forti ingiustizie sociali, con il persistere della discriminazione razziale e il diffondersi di una repressione anticomunista anche in ambito culturale e accademico.

Durante il conflitto mondiale le scienze nel loro insieme si erano rafforzate. Fisici, matematici, ingegneri e affini erano stati coinvolti direttamente e grazie al loro lavoro gli Stati Uniti non soltanto erano usciti vittoriosi, ma erano state gettate le fondamenta di un apparato industriale che avrebbe trainato l’economia e modellato una nuova società. Malgrado lo spettro della distruzione nucleare avesse spalancato l’ipotesi di un’apocalisse totale, e non pochi scienziati coinvolti più o meno direttamente avessero sensi di colpa, la ricerca proseguì inalterata e anzi di lì a poco si sarebbe inventata una nuova bomba atomica, a idrogeno, ancora più potente. La guerra aveva risucchiato molti altri ambiti disciplinari fino ad allora marginali, mettendo a disposizione «un’attività governativa interamente nuova come campo di ricerca per gli scienziati sociali. Ricerche sulla psicologia di guerra, studi sullo spirito di corpo delle truppe, analisi della propaganda militare acquisirono una definitiva consacrazione» (Crawford-Bideman, a cura di, Social Scientists and International Affairs, 1969, pp. 8-9) e molti antropologi, sociologi, psicologi e linguisti collaborarono con le numerosissime agenzie federali e militari. Queste discipline, definite anche “ingegneria sociale” e che avevano sopravanzato i più classici studi umanistici quali lettere, filosofia, storia, nel dopoguerra ricevettero «un notevole incremento in termini di quantità, fondi, prestigio e influenza negli ambienti del potere pubblico e privato. I ricercatori sociali erano spavaldi e arroganti… i sociologi affascinavano con grandi, astratte teorie delle strutture e dinamiche sociali… gli psicologi lasciavano intendere di poter fare grandi cose grazie alla loro capacità di spiegare le leggi fondamentali dello sviluppo e del comportamento e di prevenire le anomalie e le miserie della gente…  Gli antropologi, diventanti rapidamente preziosi per il governo durante la guerra, lo furono ancora di più dopo, quando il paese si affermò come forza militare, sociale e politica dominante e assunse la supervisione amministrativa di popoli e culture diverse.» (Seymour Sarason, Psychology Misdirected, 1981, pp. 1-2)

Negli anni in cui si svolsero le conferenze sulla cibernetica «le università e i college diventarono sempre più dipendenti e disponibili verso il governo federale». (Ellen Schrecker, No Ivory Tower. McCarthyism and the Universities, 1986, p. 339) Sovvenzionando la ricerca teorica in vista di applicazioni militari, sia USA che URSS adoperavano le scienze sociali come «strumento della politica statale, tanto per i problemi interni quanto per il prestigio e l’influenza a livello internazionale» (Alvin Gouldner, The Coming Crisis of Western Sociology, 1970, p. 158) e in particolare gli americani anche con lo scopo di ostacolare la diffusione del marxismo, come nel caso dell’antropologa Margaret Mead che mentre contribuì a individuare i punti deboli del sistema sovietico, al tempo stesso divulgò tecniche di politica estera capaci di evitare inutili frizioni con paesi e culture diverse.

Steve Heims – che ci guiderà nelle prossime tappe del viaggio – presenta la situazione in cui si trovavano le varie scienze in quegli anni. Per quanto riguarda i fisici, mentre alcuni intrapresero esperimenti sulla teoria dei quanti, altri invasero il «campo di competenza della biologia con il proposito di decifrare il codice genetico». (Steve J. Heims, I cibernetici. Un gruppo e un’idea [1991], Rusconi, Milano, 1994, p. 11) Seguendo le intuizioni di Erwin Shroedinger che nel 1944 aveva pubblicato What is Life?, lo stesso anno si costituì attorno a Max Delbrük e Salvador Luria il “gruppo del fago”, che fu l’incubatore dei ricercatori che scopriranno il DNA e inaugureranno la biologia molecolare. Accantonando le più complesse questioni di fondo relative alla teoria evoluzionistica di Darwin e alle variazioni della specie, adoperarono un «approccio molto riduzionista ai problemi dell’ereditarietà e della comprensione della vita, e l’ottimismo e perfino l’arroganza di alcuni degli scienziati che parteciparono alla ricerca contribuì notevolmente al successo finale.» (Ibid.)

In sociologia, dove le teorie marxiste sopravvivevano soltanto fuori dalle accademie, si impose l’orientamento funzionalistico di Talcott Parsons, una visione conservatrice basata sull’equilibrio, la stabilità e la continuità delle istituzioni che proponeva «determinati compromessi sociali e culturali in funzione dell’equilibrio del sistema», teorie «stranamente insensibili al dolore di chi soffre». (Gouldner, The Coming Crisis, pp. 139 e 196) In antropologia si conducevano molte ricerche e registrazioni sul campo in popoli anche in via di estinzione, accantonando i danni provocati dall’intrusione in culture altrimenti isolate. Il vecchio funzionalismo inglese e la teoria della personalità di derivazione freudiana erano temperati da un certo “relativismo”, e per quanto si insistesse sul fatto che ogni cultura possedeva una propria struttura che permetteva di comprenderne le regole interne, la griglia di interpretazione era occidentale e il punto di vista implicitamente giusto e valido.

Probabilmente l’ambito più importante era diventato quello della psicologia, dove si assisteva a una riduzione delle istanze politiche e sociali alla psicologia individuale, lasciando intendere che i problemi più generali potevano essere risolti partendo dal singolo. «La questione politica dell’oppressione delle minoranze fu convertita in un problema di prestazioni psicoterapeutiche indirizzata a persone con “tendenze autoritarie” (vedi The Authoritarian Peronality del 1950) e l’uso della psicologia in forma riduzionista sembrava consentire la trasformazione dei conflitti politici in fatti “scientifici” fornendo altresì uno strumento di controllo delle istanze sociali.» (Heims, p. 12) Come scriverà Dollard: «Fin dal 1937 i miei interessi di ricercatore si sono discostati dai problemi sociali per concentrarsi sempre di più sulla psicologia. Per questa ragione non sono più in grado di affrontare il problema dei negri.» (John Dollard, Caste and Class in Southern Town, 1957, p. VII) Questo ripiegamento sulle cause individuali lo troviamo anche nel “movimento di salute mentale”, molto attivo in quegli anni: «Un efficace antidoto alla guerra potrebbe essere un istituto internazionale di ricerca impegnato nello studio dell’aggressività, dell’odio e della paura, tanto a livello individuale che di gruppo, e della loro origine in termini di sviluppo della personalità, eredità culturale e condizioni sociali.» (Rennie-Woodward, Mental Helath in Modern Society, 1948, p. 398)

A differenza della psicologia clinica dominata dalle idee freudiane, quella accademica era improntata al neocomportamentismo, che riprendeva la precedente teoria, totalmente riduzionista ed empirica, di John Watson che puntava alla previsione e al controllo del comportamento. Tra i neocomportamentisti spiccava Edward Tolman, che attribuiva grande importanza ai concetti di “finalità” e “conoscenza” in relazione al comportamento animale, e si apriva ad altre correnti tra cui la psicanalisi e la psicologia della Gestalt (ovvero dei fenomeni percettivi). Basandosi sulla correlazione tra organismo e ambiente e ponendo scarsa attenzione alle situazioni interiori, secondo questa teoria mentre il comportamento dev’essere interpretato come risposta a stimoli passati o presenti, i fatti mentali, non osservabili, vanno esclusi dall’analisi.

È in questo contesto che si inseriscono le mosse preliminari del futuro gruppo dei cibernetici. Cogliendo l’attitudine alla collaborazione interdisciplinare fu organizzato un primo seminario, coordinato da Frank Fremont-Smith, allora direttore medico della Josiah Macy Jr. Foundation e che aveva contatti sia con i fisico-matematici sia con alcuni ricercatori in scienze sociali, Lawrence Frank, Margaret Mead e Gregory Bateson – che non seguivano il comportamentismo ma facevano invece parte del movimento di “personalità e cultura”. L’incontro, che si tenne in un hotel newyorkese a metà maggio 1942, ruotava attorno a due questioni, il controverso problema dell’ipnosi e la fisiologia dei riflessi condizionati (il fondamento della psicologia comportamentista), e fu chiamato “Seminario sull’inibizione mentale”.

 

 

Sommario 6.8

  • Introduzione
  • Dal film Early Warning / Nadezhda Babkina canta con un robot al Forum delle Culture Unite di San Pietroburgo
  • Caterpillar legge Bruno Geda – L’equilibrista
  • Intevista a Geoffrey Hinton, pionere del deep learning
  • Javier Milei e il transumanesimo (interviste del 2019)
  • L’urlo di Chat GPT
  • Miguel Amorós – Globalizzazione e geopolitica (17 dicembre 2024) – PRIMA PARTE
  • Mix diabolico: Musk Bafometto / Musk e i robot / Harari e la sorveglianza biometrica totale (con intermezzi di Karmageddon, canzone che il produttore voleva censurare)

 

Riferimenti 6.8

  • Raymond Scott, Cindy Electronium (1951)
  • Steve Reich, Pendulum Music (1968)
  • Hugh Le Caine, Dripsody (1955)
  • Tod Dockstader, Apocalypse – Part 2 (1993)
  • François Bayle, Rosace 3 (1969)
  • David R. Elliott, Early Warning (1981)
  • Cockney Rebel, Death Trip (The Human Menagerie, 1973)
  • Dirty Granny Tales, Inversed World (Inversed World, 2008)
  • Gato Barbieri, Milonga Triste (Chapter Three – Viva Emiliano Zapata, 1974)
  • Need New Body, Inner Gift (Where’s Black Ben?, 2005)
  • Ojos De Brujo, Quien Engaña No Gana (K.E.N.G.) (Remezclas De La Casa, 2003)
  • Ojos De Brujo, Vacileo (Girando Bari, 2005)
  • Ojos De Brujo, P.A. Dust Mix (Rumba Dub Style, 2001)
  • Amanda Palmer And The Grand Theft Orchestra, A Grand Theft Intermission, (Theatre Is Evil, 2012)
  • Iyah May, Karmageddon (2024) – TESTO

Episodio 6.7

Episodio 6.7

Per questa puntata, non è presente l’Introduzione (tornerà la prossima…)

 

Sommario 6.7

 

Riferimenti 6.7

  • Bettie Blue, D-devil (Stoneselvatique, 2013)
  • Lila Tirando a Violeta, Above Maternity-Crashed Dreams (Life On The Line, 2018)
  • Shambala Networks, Memories From The Uterus (Memories From The Uterus, 2011)
  • Paranoia Inducta feat Kenji Siratori, Uterus Machina (Black Paper, 2007)
  • David Byrne, Big Business (The Catherine Wheel, 1981)
  • Iggy Pop, She’s A Business (Preliminaires, 2009)
  • Spats Langham & Martin Litton, April Kisses (Langham and Litton Lollipops, 2006)
  • LMZ, Behavioral Sink (2024)
  • Coil, Blue Rats (A Thousand Lights In A Darkened Room, 1996)
  • Coil, Blue Rats (Blue Cheese Mix) (Foxtrot, 1998)
  • Dirk Sebast, Brisby e il segreto di NIMH 2 – Timmy alla Riscossa (1998)
  • The Electric Flag, Fine Jug Thing (The Trip, 1967)
  • Jeff Beck, Blue Wind (Wired, 1976)

Episodio 6.6

Episodio 6.6

In ricordo di Bruno Geda

Se, secondo i primi cibernetisti, gli umani non differiscono dalle macchine dal “punto di vista scientifico”, ciò è dovuto al fatto che negli anni ’40 tale punto di vista era quello degli uomini-macchine in guerra. L’insieme uomo-aeroplano-radar-predictor-artiglieria è un sistema chiuso, in cui sembra possibile sostituire gli uomini con le macchine e viceversa. Per il soldato che manovra la tecnologia contraerea, il nemico si comporta realmente come un servomeccanismo. Quel che sorprende è il modo in cui questa visione tecnologica si sia ampliata fino a concepire una nuova età per l’umanità e una filosofia generale dell’azione umana.

Nel 1947, mentre medita sugli eventi bellici appena trascorsi, Wiener sostiene che «il pensiero di ogni epoca si riflette nella sua tecnica». Quella antica era caratterizzata da agrimensori, astronomi e navigatori, mentre nel Seicento e Settecento si distinguevano orologiai e molatori di lenti. La loro scienza era la previsione secondo leggi e la loro economia quella mercantile; le navi solcavano i mari basandosi su orologi e calcoli astronomici della longitudine. Wiener la definì «tecnica del mercantilismo». (Norbert Wiener, La cibernetica. Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina [1948], il Saggiatore, Milano 1968, pp. 65-66) Mentre volgeva al termine il Settecento, sorgeva una nuova età in cui il cronometro lasciava il posto al motore a vapore come simbolo e fulcro reale del lavoro tecnologico. A Huygens e Newton succedevano Rumford, Carnot e Joule, e adesso era il settore manufatturiero e non più mercantile a incarnare la nuova cultura. Infine per Wiener l’età attuale, inaugurata dalla vasta gamma dei dispositivi elettromeccanici della guerra, è l’età dell’informazione e del controllo. Se questi sviluppi risalivano fino a Kelvin e Gauss, trovano la loro forma compiuta (e gli interpreti) soltanto nei laboratori e nelle fabbriche di radar e dei sistemi a questi associati, e le «meraviglie della macchina calcolatrice automatica fanno parte dello stesso genere di idee.» Questa età, che è ancora la nostra, è quella dei servomeccanismi.

Comunque sia, allora erano in molti a credere di trovarsi a un punto di svolta epocale. Il bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del ’45 moltiplicò a livello esponenziale le speranze come le paure anche di Wiener, espresse con qualche mese di ritardo nella lettera a un amico, il filosofo italiano Giorgio di Santillana che nel ’41 si era trasferito al MIT. «Da quando è caduta la bomba atomica mi sono dovuto riprendere da un attacco acuto di coscienza in quanto scienziato che ha lavorato in campo bellico e che ha visto il suo lavoro bellico come parte di un corpus più ampio che è stato adoperato in un modo che io non approvo e su cui non ho il benché minimo controllo. Credo che i presagi di una terza guerra mondiale siano oscuri e non ho alcuna intenzione di permettere che le mie prestazioni siano adoperate in un conflitto simile. Ho preso seriamente in considerazione la possibilità di rinunciare al mio sforzo di produzione scientifica perché non vedo come possa pubblicare senza permettere che le mie invenzioni finiscano nelle mani sbagliate.» (Lettera a de Santillana, 16/10/1945)

Due giorni dopo, redasse una lettera per il presidente del MIT, in cui ripeté i suoi timori riguardo la perdita del controllo da parte degli scienziati sull’uso civile e militare della scienza, concludendo che intendeva «abbandonare completamente e definitivamente il lavoro scientifico. Troverò il modo per vivere nella mia fattoria in campagna. Non sono troppo ottimista di riuscirci, ma non vedo altra direzione che si accordi con la mia coscienza.» (Lettera a Karl Compton, 18/10/1945)

Le lacrime di coccodrillo degli scienziati si asciugano in fretta, e il 1947 si chiude con Wiener ancora al suo posto al MIT: «Quelli fra noi che hanno contribuito alla nuova scienza della cibernetica si trovano così in una posizione morale a dir poco scomoda. Abbiamo contribuito alla nascita di una nuova scienza che (…) comporta sviluppi tecnici con grandi possibilità per il bene e per il male. Non possiamo fare altro che consegnarla al mondo che ci circonda, e questo è il mondo di Belsen e Hiroshima. Non abbiamo neanche la scelta di arrestare questi nuovi sviluppi tecnici. Essi appartengono alla nostra epoca, e il massimo che riusciremmo ad ottenere cercando di sopprimerli sarebbe di metterli nelle mani dei più irresponsabili e venali dei nostri tecnici. Il meglio che possiamo fare è agire in modo che un vasto pubblico comprenda le tendenze e gli aspetti di questo lavoro, e limitare il nostro impegno personale nei campi che, come la fisiologia e la psicologia, sono più lontani dalla guerra e dallo sfruttamento.» (Wiener, La cibernetica, p. 54) Paradossalmente, negli anni della Guerra Wiener aveva ampliato la cibernetica oltre il suo ristretto ambito a causa della debolezza dell’AA predictor; mentre ora che la cibernetica è associata al potere di armi catastrofiche, cerca di riportarla fuori dall’arena militare dato che funziona mortalmente bene. Ma oramai la cibernetica è legata alle sue origini belliche in un modo talmente forte e profondo che Wiener e i suoi colleghi non possono più farci niente.

Nel ventennio che separa la fine della guerra alla sua morte improvvisa, avvenuta durante un viaggio in Europa, Wiener si distinguerà nel tentativo – vano e maldestro – di sottolineare l’importanza della componente umana, condannando non soltanto l’uso militare delle discipline a cui aveva dato il proprio contributo, ma anche la disumanizzazione provocata dalla perdita del controllo sulle tecnologie informatiche che si andavano affermando, così come dalla perdita di posti di lavoro e competenze umane provocate dall’automazione. Inoltre, anche grazie al fatto che nei pochi anni appena trascorsi di incubazione della cibernetica Wiener e soci avevano già presagito che la neonata disciplina sarebbe uscita dal ristretto ambito dei laboratori di elettrotecnica e informatica, per proporsi come modello di interpretazione e di funzionamento degli animali così come delle macchine oltre che delle relazioni interpersonali, e per scrollarsi di dosso il peso e la responsabilità di aver costruito un’arma micidiale, i primi protagonisti decidono di allargare il cerchio della cibernetica alle scienze sociali. Grazie al finanziamento della Fondazione Josiah Macy, l’8-9 marzo 1946 ha luogo la prima conferenza multidisciplinare che unisce matematici e fisici con psicologi e antropologi sull’argomento generale dei sistemi con causalità circolare.

Gregory Bateson, già convinto dell’importanza delle nuove idee, aiutò nell’organizzazione della seconda conferenza, “Meccanismi teleologici nella società” (20 settembre 1946) e della terza, “Meccanismi di retroazione e sistemi con causalità circolare in biologia e nelle scienze sociali”. Vi persero parte, tra gli altri, Paul Lazarsfeld, Margaret Mead e Filmer S. C. Northrop, e le discussioni, sostenute con vigore da Bateson e condotte con entusiasmo da Wiener, von Neumann, Warren McCulloch e Rafael Lorente de Nò, portarono i sistemi, la teoria dell’informazione e i meccanismi di retrazione nel cuore di sociologia, psicologia e antropologia. Secondo Northrop l’impatto della teoria dei servomeccanismi ebbe una «importanza rivoluzionaria per le scienze naturali, morali così come per la filosofia naturale» oltre che «sulla teoria del fattore normativo in legge, politica, religione e in scienze sociali». (Northrop, “Ideological Man in His Relation to Scientifically Known Natural Man”, in Ideological Differences and World Order: Studies on the Phylosophy and Science of the World’s Cultures, 1949, p. 414) Per Bateson il nuovo vocabolario della cibernetica e della teoria della comunicazione rappresentarono una svolta nel suo lavoro; il suo biografo David Lipset l’ha definita una «conversione teoretica» in cui i termini che aveva adoperato in precedenza, come schismogenesi, furono riadattati al linguaggio della macchina rivolta a un fine: retroazione positiva, che lui chiamava rigenerativa (Lipset, Gregory Bateson: The Legacy of a Scientist, 1980, p. 182)

Per quanto riguarda gli interessi filosofici di Wiener, già negli anni Trenta si era interessato a Leibniz, esaltandone l’apertura mentale in opposizione al dogmatismo newtoniano, sottolineandone la dedizione al relativismo, al principio di identità degli indiscernibili simile alla meccanica quantistica, e perfino all’idea dell’indipendenza e autosufficienza della monade – in analogia con alcune teorie che vedevano l’elettrone appartenere a una dimensione più elevata. (Wiener, “Back to Leibniz! Physics Reoccupies an Abandoned Position”, Technology Review n° 34, febbraio 1932) Ma nel dopoguerra Wiener andò ancora oltre, ricavando da Leibniz un ombrello filosoficamente onnicomprensivo che copriva e ricombinava cibernetica e ricerca operativa. Come affermò alla Operations Research Society nel 1953, entrambe si basavano su un moderno parallelismo con Leibniz, la cui concezione di monade era decisamente antropomorfica. Si trattava di una visione del mondo in cui le monadi erano «quasi delle anime la cui attività era limitata a riflettere l’universo delle monadi stesse.» La cibernetica forniva una «immagine del mondo simile»: nodi di comunicazione che interagiscono scambiandosi ordini o comandi. Secondo il cibernetico, il mondo non è altro che l’insieme delle reciproche relazioni interne di questi messaggi in ingresso e in uscita – in definitiva la cibernetica porta con sé, per Wiener, una visione dell’universo «quasi solipsista». Considerata nella sua funzione epistemologica, la cibernetica può essere sia basata sull’osservazione (messaggi unicamente in entrata) sia sperimentale (messaggi in entrata e in uscita). Al tempo stesso, Wiener voleva fosse chiaro che mentre l’epistemologia avrebbe potuto sottrarre alla scienza la funzione di raccolta di conoscenza e informazioni, i cibernetisti non si sarebbero limitati a ciò: «i messaggi possono essere inviati con il fine di esplorare l’universo, ma possono essere inviati anche con l’intenzione di controllare l’universo.» Proprio perché Wiener voleva sottolineare l’aspetto duale dell’informazione, distingueva tra messaggi che potevano essere inviati «nel modo indicativo o in quello imperativo». (Wiener, “Delivered to the Operations Research Society”, 23 novembre 1953)

Come suggeriscono le monadi prive di finestre, e come dice esplicitamente Wiener riguardo il loro quasi-solipsismo, la filosofia cibernetica aveva come premessa l’opacità dell’Altro. In questa visione del mondo siamo davvero come scatole nere, dotate di input e output e senza alcuna possibilità di accedere alla vita intima nostra o di chiunque altro. La stessa opacità domina la teoria dei giochi di von Neumann, dove l’opponente agisce in accordo a determinati principi universali di massimizzazione ma in cui il processo del pensiero che si risolve in ogni singola mossa ci è nascosto. Sebbene in tarda età Wiener giunse a respingere la teoria di von Neumann perché dotata di basi psicologiche inadeguate, negli anni del dopoguerra pensava diversamente: il libro scritto da von Neumann e Morgenstern era per lui «un interessantissimo studio dell’organizzazione sociale da un punto di vista metodologico strettamente connesso, sebbene distinto, ai problemi della cibernetica.» (Wiener, La cibernetica, p. 42)

 

 

Sommario 6.6

  • Introduzione
  • Matteo Salvini, il ganzo è servito (Il Pranzo è Servito, Canale 5, 1993)
  • Zanzare OGM Vaccinatrici (Tg Leonardo 3/12/2024)
  • Jacques Luzi, Le religioni industriali contro la natura e la libertà. Cosmismo e Transumanesimo (Pubblicato sul giornale L’Urlo della Terra, n° 12, Luglio 2024)TESTO

 

Riferimenti 6.6

  • Neu!, Spitzenqualitat + Neuschnee + Super (Neu! 2, 1973)
  • Neu!, Jahresübersicht-Negativland (Neu!, 1972)
  • Mr.GLOB@L [Feat. Elon Musk], Tostapane (dicembre 2024)
  • The Doors, The Mosquito (Full Circle, 1972)
  • CCCP CCCP Fedeli alla linea, Libera me Domine (Socialismo e barbarie 1987)
  • Vladimir Putin, Credo in Dio e Dio è con noi (26/12/2024)
  • The USSR TV and Radio Large Symphony Orchestra diretta da Vladimir Fedoseyev, Время, вперед! (Tempo, avanti!) di Georgij Sviridov (Suite dalla colonna sonora del film Vremja, vperёd! – Время, вперёд!, 1965)
  • François Couture, Marc Couroux, Paul Helmer, Pierrette Le Page, Cosmos Op. 28 (1934) di Ivan Wyschnegradsky (Hommage à Ivan Wyschnegradsky, 1994)
  • Sylvaine Billier & Martin Joste, Preludio II – Ventiquattro preludi in tutti i toni della scala cromatica-diatonica, per due pianoforti a quarti di tono (1939-40) di Ivan Wyschnegradsky (Etude Sur Les Mouvements Rotatoires – 24 Préludes, 2002)
  • Jean Koerner, Jean François Heisser, Martine Joste, Sylvaine Billier, Troisième Fragment Symphonique, Opus 32 (1946) di Ivan Wyschnegradsky (Registrazione del 1977)
  • Nouvel Orchestre Philharmonique de Radio-France & Mario Haniotis, La Journée De L’Existence (1915-16) di Ivan Wyschnegradsky (Registrazione del 1978)
  • Jacques Wiederker & Martine Joste, Méditation Sur 2 Thèmes De La Journée De L’Existence, Opus 7 (1958) di Ivan Wyschnegradsky (Registrazione del 1977)
  • Julia Dmitriukova, Leopoldo Amigo, Miguel Molina et. al., Estratti dall’opera cubo-futurista “Vittoria sul sole” (Победа над Cолнцем, Pobeda nad Solntsem) (1913) di Mikhail Matyushin e Aleksej Kručenych ­­(Baku: Symphony Of Sirens – Sound Experiments In The Russian Avant Garde, 2008)

Episodio 6.5

Episodio 6.5

Per perfezionare il loro marchingegno, nell’estate del 1942 Wiener e Bigelow visitano alcuni laboratori in giro per gli Stati Uniti in cui si stavano analizzando i voli aerei, finché all’Anti-Aircraft Board di Camp Davis, North Carolina, trovano un prezioso documento, i dati del tracciamento della posizione dei voli in codice 303 e 304 all’intervallo di un secondo. Ma dopo aver inserito i dati nell’AA predictor, a fine anno si rendono conto che i risultati non sono migliori di quelli forniti da due semplici macchine di previsione geometrica, già in funzione, progettate da Hendrik Bode, ricercatore dei laboratori della Bell. Sebbene intuisca le potenzialità insite nel suo lavoro di ricerca, Wiener è profondamente disilluso e, come scrive a Weaver, pensa di non riuscire a ottenere alcunché di utile entro la fine della guerra: «Mi sarebbe piaciuto creare qualcosa in grado di uccidere dei nemici invece di limitarmi a dimostrare come non cercare di ucciderli.» (Lettera a Weaver, 28/1/1943)

Nel gennaio 1943 avviene una svolta con la pubblicazione di “Comportamento, fine e teleologia”, in cui Wiener e Bigelow assieme al medico messicano Arturo Rosenblueth (che nel 1930 si era recato ad Harvard per lavorare al dipartimento di fisiologia diretto da Walter Cannon, assieme a cui aveva compiuto i primi studi sull’omeostasi) si interessano alla «classe dei comportamenti basati sulla previsione (…) che suggerisce la possibilità di progettare test sistematici sempre più complessi del comportamento degli organismi»; l’articolo mette in luce l’importanza di concetti che a loro avviso godono di scarso credito, come il fine e per l’appunto la teleologia, e dimostra che «un’analisi uniforme del comportamento è applicabile alle macchine come agli organismi viventi». (“Behavior, Purpose and Teleology”, in Philosophy of Science, Vol. 10, n° 1, gennaio 1943; tr. it. in Dio & Golem s.p.a. Un commento su alcuni punti in cui la cibernetica tocca la religione, Boringhieri, Torino 1967, p. 100) Con l’obiettivo di studiare e classificare i comportamenti, e di sottolineare il concetto di fine, si postula che è più utile esaminare un soggetto/oggetto dal punto di vista delle relazioni di “uscita” e di “ingresso” che nella sua organizzazione intrinseca (è l’idea della “scatola nera”), che è la differenza tra il metodo comportamentistico e quello funzionale.

Come Darwin aveva rintracciato delle similitudini tra animali e umani al fine di abbattere i confini che li separavano, Wiener si sforza di cancellare quelli tra umani e macchine. Tra l’altro, come annota nel 1945 in “Operationalism – Old and New”, nel corso della Guerra gli uomini si stavano sempre più abituando a considerare animati i sistemi servomeccanici: «tra gli aviatori la superstizione, che fa quasi ridere, dell’esistenza di un gremlin probabilmente è dovuta (…) all’abitudine di trattare con una macchina in possesso di un gran numero di feedback inseriti al suo interno, che possono essere interpretati come amichevoli oppure ostili.» Wiener cita l’esempio del sistema a retroazione di stabilizzazione delle ali degli aeroplani, il cui funzionamento spinge i piloti a poterlo «facilmente percepire come una personalità cui far fronte quando l’aereo deve fare manovre inusuali». Essere consapevoli della volontà di un’altra persona è la sensazione percepita quando si ha a che fare con un meccanismo a mantenimento automatico che facilita oppure contrasta le nostre azioni. L’aeroplano, offrendo questo tipo di resistenza che serve alla sua auto-stabilizzazione, si comporta come se avesse un fine, come se fosse abitato da un folletto.

Questa visione profondamente behaviorista non sfugge ad alcuni suoi contemporanei, come lo psicologo Edwin Boring, insegnante ad Harvard e che oltre a nutrire interesse per i fenomeni sensoriali e percettivi, nel 1943 ha appena pubblicato un manuale di grande successo di psicologia militare (Psychology for the Fighting Man, 1943) basato su informazioni pratiche come aumentare il morale dei soldati o adattarsi alla vita militare, e nel 1945 farà uscire un libro di testo intitolato Psychology for the Armed Services. Boring trova «molto attraente» l’idea di Wiener di duplicare con sistemi elettrici le funzioni del cervello e propone di fornirgli «una lista abbastanza completa delle funzioni psicologiche», che in linea di principio si possono esprimere nei termini di stimoli e risposte. Secondo lui, ad esempio, un «processo simbolico» potrebbe essere «una reazione ritardata, adeguatamente differenziale»; oppure l’introspezione, la reazione a una reazione. Nel caso accettasse la sua sfida, il compito di Wiener sarebbe quello di trasferire queste coppie di stimolo-risposta nella sua macchina sottoforma di input/output, e Boring ha già 14 proprietà psicologiche sulla lista e altre da aggiungere come “generalizzazione” e “astrazione”. (Lettera a Wiener, 13/11/1944)

L’ingegneria basata sulla scatola nera – ricordiamo che black-box, termine comunemente adoperato nel Radiation Laboratory del MIT, descriveva un’unità destinata a compiere una funzione prima che si conoscesse la sua modalità di funzionamento, e nel corso della guerra divenne popolare perché apparecchi elettrici erano contenuti in scatole chiazzate di nero – ora aveva uno scopo funzionale molto più grande e complesso rispetto all’amplificazione elettrica: ricreare la mente. Ma nell’arco di poche settimane, l’ambizione di Wiener si spinge addirittura oltre. In collaborazione con Howard Aiken, uno dei pionieri della tecnologia informatica, e John von Neumann, matematico incredibilmente versatile che stava lavorando sui primi computer, nel dicembre 1944 spedisce a una cerchia ristretta di esperti apparentemente non correlati una lettera: «Un gruppo di persone interessate all’ingegneria delle comunicazioni, all’ingegneria delle macchine calcolatrici, all’ingegneria delle apparecchiature di controllo, alla matematica delle serie temporali in statistica e agli aspetti della comunicazione e del controllo nel sistema nervoso, è giunto alla conclusione provvisoria che i rapporti tra questi campi di ricerca sono arrivati a un grado di intimità tale da rendere un incontro (…) assai auspicabile». Da questa confluenza di discipline di guerra, segreta poiché trattava tematiche belliche, emerge una nuova visione che avrebbe abbracciato questioni che andavano dall’ingegneria alla fisica, toccando interessi economici e sociali. I tre firmatari chiamano il gruppo “Teleological Society”.

Il centro comune degli interessi di Wiener, Aiken e von Neumann ruota attorno all’intenzione: «La teleologia è lo studio del fine di una condotta, e pare che gran parte del nostro interesse sia rivolto da una parte allo studio di come il fine si realizzi nel comportamento umano e animale, e dall’altra a come il fine possa essere imitato da mezzi meccanici ed elettrici.» La loro intenzione è fondare una società, una rivista, creare un brevetto e un meccanismo di sostegno, un mezzo di divulgazione e, infine, una rete protettiva per difendersi dalla «pubblicità pericolosa e sensazionalistica». (Aiken, von Neumann e Wiener, lettera Herman Goldstine, 28/12/1944) Il primo incontro avviene il 6-7 gennaio 1945. Rafael Lorente de Nó e Warren McCulloch, fisiologi specialisti dell’organizzazione funzionale del sistema nervoso centrale, presentano il loro lavoro sull’organizzazione del cervello. Wiener si esalta scrivendo a Rosenblueth: «Alla fine eravamo tutti convinti che la questione di fondo comprendeva aspetti sia ingegneristici sia neurologici.» (24/1/1945) Era giunto il momento di trasferire vocazioni separate in un programma di ricerca integrato e permanente, che avrebbe trovato molte risorse tra cui la Fondazione Rockefeller, grazie al sostegno del suo direttore Weaver. Erano state gettate le fondamenta delle future conferenze sugli stati generali della cibernetica.

Da parte sua von Neumann adoperò l’incontro per organizzare una divisione del lavoro: Wiener e Walter Pitts, allievo di Rudolf Carnap e che aveva adoperato la logica per analizzare le proprietà di trasferimento dei neuroni, si sarebbero occupati dei problemi riguardanti il filtraggio e la previsione; William Edwards Deming (statistico che sarebbe diventato uno dei principali consulenti del Giappone durante il suo miracolo economico postbellico), von Neumann e altri di applicare i rapidi metodi computazionali ai problemi di statistica; a von Neumann, Aiken e Herman Goldstine (anch’egli uno dei primi informatici) spettavano le questioni riguardanti le equazioni differenziali di astronomia, idrodinamica, balistica eccetera; infine a Pitts, de Nó e McCulloch quelle di neurologia.

La divisione dei compiti andava bene a Wiener, che però faceva notare a von Neumann la mancanza di quella fondamentale transizione dalla macchina computazionale alla macchina di controllo, quel sistema di retroazione su cui Wiener aveva posto l’accento fin dai suoi primi lavori sui servomeccanismi, e che continuava ad occupare un posto centrale nel suo pensiero poiché era proprio quel processo propriocettivo che avveniva nei controlli meccanici, nei controlli organici e nei sistemi ibridi meccanico-organici.

Nonostante l’ampia schiera dei sostenitori alle idee di Wiener, c’era anche chi dissentiva. Nel 1950 il giovane filosofo Richard Taylor domanderà incredulo a Wiener e soci come avessero potuto proporre seriamente una definizione di comportamento rivolto a uno scopo basata unicamente sull’esito di una sequenza di eventi. Nel testo del ’43 Wiener, Bigelow e Rosenblueth avevano dato questa definizione: il comportamento «“rivolto a un fine” indica che l’atto o il comportamento può essere interpretato come diretto al raggiungimento di un obiettivo, cioè di una condizione finale in cui l’oggetto di cui si studia il comportamento raggiunge una correlazione definita nello spazio e nel tempo rispetto a un altro oggetto o evento. Il comportamento non rivolto a un fine può essere interpretato come quello che non mira a uno scopo.» (“Comportamento, fine e teleologia”, in Dio & Golem s.p.a., pp. 92-93) Secondo Taylor questa definizione era al tempo stesso onnicomprensiva e priva di contenuto, e la sua totale arbitrarietà permeava già dicendo “può essere interpretato”: l’azione di un vaso che cade da un balcone e colpisce in testa un passante può essere “rivolta a un fine”? (Richard Taylor, “Comments on a Mechanistic Conception of Purposefulness”, Philosophy of Science, 17 ottobre 1950) Peraltro la cosa era già stata sottolineata proprio dai tre estensori dell’articolo, per i quali tuttavia, «sebbene la definizione di comportamento rivolto a un fine sia relativamente vaga, e per questo, da un punto di vista operativo, in larga misura insignificante, il concetto di fine è utile e dovrebbe pertanto essere mantenuto.» (p. 94) Questa utilità risiedeva nella possibilità di suddividere in due ordini (in cui la funzione era attiva o spenta, on/off) il comportamento, che poteva essere: non attivo o attivo; e in quest’ultimo caso non rivolto a un fine oppure rivolto a un fine; e in quest’ultimo caso senza oppure con retroazione, ovvero teleologico; e in quest’ultimo caso non estrapolante (non basato su previsione) oppure sì; e in quest’ultimo caso con un ordine di previsione di vari gradi, a seconda che si tenesse conto di coordinate temporali e spaziali più o meno complesse. Dunque, la teleologia era nient’altro che «“il fine controllato da retroazione”», e quello teleologico «il comportamento controllato da retroazione negativa». (pp. 103-104)

La novità che Taylor non prendeva in considerazione proveniva appunto da queste apparecchiature elettromeccaniche dotate di feedback, eppure aveva messo in luce quella che era l’obiezione fondamentale all’analisi behaviorista alle fondamenta dell’intero programma di Wiener: un missile, per quanto teleguidato, non era filosoficamente dissimile da uno che non era auto-regolato, dunque secondo Taylor l’espressione «missile che va in cerca del proprio obiettivo (target-seeking) è metaforica». Ma su questo punto la distanza era incolmabile, giacché a Wiener (e Rosenblueth, che collaborò nella risposta a Taylor)  non interessava sapere se in astratto le macchine «sono o possono essere come gli umani», si trattava di una questione «irrilevante» a fini scientifici: «Crediamo che gli uomini e gli altri animali siano come macchine dal punto di vista scientifico perché crediamo che gli unici metodi fruttuosi per studiare il comportamento umano e animale siano quei metodi applicabili anche al comportamento di oggetti meccanici. Di conseguenza, la nostra principale ragione di selezionare i termini in questione era di sottolineare che, in quanto oggetti di indagine scientifica, gli umani non differiscono dalle macchine.» (Rosenblueth e Wiener, “Purposeful and Non-purposeful Behavior”, Philosophy of Science, 17 ottobre 1950)

Taylor replica a quest’ultimo articolo sostenendo che il loro errore era di basare il concetto di “rivolto a un fine” unicamente su comportamenti osservabili, ignorando però che il proposito di un’azione potrebbe non essere comprensibile in mezzo a molte ipotesi: se il guidatore di un’automobile segue zigzagando un uomo a piedi, sta cercando di metterlo sotto, oppure gli sta facendo uno scherzo, o vuole mettergli paura, o semplicemente sta cercando di far uscire dalla propria auto una fastidiosa ape? Certamente l’osservazione è importante, ma bisogna distinguere tra fine ed evidenza: come adoperare un approccio puramente comportamentista nel caso di azioni in cui l’obiettivo, in quanto entità fisica distinta, non esiste nemmeno, come nel caso dei cavalieri che cercavano il Sacro Graal o gli alchimisti la pietra filosofale? L’intenzione, così come il desiderio, è reale tanto quanto gli atti tangibili, e Taylor non è d’accordo che si abbandonino dei concetti semplicemente perché scientificamente non sono utili a livello operativo. (Taylor, “Purposeful and Non-purposeful Behavior: A Rejoinder”, Philosophy of Science, 17 ottobre 1950)

Mentre Wiener lasciò perdere il dibattito a questo punto, il conflitto rimase irrisolto.  Intanto, con la matematica dei sistemi di retroazione cibernetici, il formalismo della teoria dei giochi e i diagrammi di flusso dell’analisi operativa, le scienze Manichee avevano raggiunto l’apoteosi del behaviorismo, come sperava Boring. Che nel febbraio 1945, affascinato dai nuovi progressi della ricerca interdisciplinare di Wiener, gli scrive nuovamente: «ho fatto una lista di tutte quelle che credo siano le funzioni del cervello, mettendole nei termini positivistici della reazione dell’organismo, termini che potrebbero essere traslati in input, output e aggiustamenti di una scatola misteriosa con sopra morsetti e manopole.»

Lo stesso panegirico per il programma basato sulla scatola nera veniva dallo psichiatra inglese William Ross Ashby, di lì a poco autore di una Introduzione alla cibernetica, che nel 1951 scrisse a Wiener: «Quando penso a come gli psicologi abbiano cercato per decenni (se non secoli) di risolvere in modo esatto questo problema, che la scatola nera è il cervello, e quando penso a quanta poca attenzione abbiano rivolto ai princìpi che ne erano coinvolti, l’opinione che ho degli psicologi crolla a un punto ancor più basso. Il problema è che lo psicologo è troppo orgoglioso per imparare a camminare prima di provare a correre. Motivo per cui oggi è sdraiato sulla schiena, agita le gambe come uno sciocco e pretende di essere un ballerino di danza classica, quando in realtà non ha ancora imparato a camminare a gattoni. Per questo motivo (…) credo che il tuo studio del problema della scatola nera sia il primo passo verso una psicologia scientifica!» (Lettera a Wiener, 6 febbraio 1951)

 

 

Sommario 6.5

  • Introduzione
  • Leonardo Lippolis – Un oscuro scrutare. La trasparenza distopica di Smart City ( Introduzione alla nuova edizione del 2024 di Viaggio al termine della città, Eleuthera, 2009) – SECONDA PARTE (Testo)

 

Riferimenti 6.5

  • Kluster/Eruption, Black Spring (Klopfzeichen, 1970/2006)
  • Kluster/Eruption, Cold Winter (Zwei / Osterei, 1971/2006)
  • Joy Division, Failures of the Modern Man (An Ideal For Living, 1978)
  • Brian Eno, Dover Beach (Jubilee, 1978)
  • Wayne County & The Electric Chairs, Things Your Mother Never Told You (Things Your Mother Never Told You, 1979)
  • The Fall, Industrial Estate + Frightened (Live at the Witch Trials, 1979)
  • Ultravox, Fear In The Western World (Ha! Ha! Ha!, 1977)
  • Amilcar, Wargasm In Pornotopia (Jubilee, 1978)
  • John Foxx, No-one Driving (Metamatic, 1980)

Episodio 6.4

Episodio 6.4

Norbert Wiener, nato nel 1894, si diplomò a 14 anni, a 18 ottenne il dottorato ad Harvard e in seguito si distinse nel campo della fisica, anche a livello internazionale. Negli anni Trenta lo troviamo tra le principali figure del MIT, dove contribuisce alla teoria quantistica, allo sviluppo della balistica e alle tecnologie della comunicazione, e nel 1940 si mobilita in un sub-comitato di scienziati che ragionava su come l’American Mathematical Society potesse dare il proprio contributo a una probabile emergenza nazionale. Anticipando il coinvolgimento bellico degli Stati Uniti, la scienza era già in guerra, e per far questo doveva scendere dal suo piedistallo, trovare i suoi fondamenti nella materialità e indirizzarsi al mondo delle armi.

I calcoli relativi ai movimenti degli aeroplani nemici simulati sull’analizzatore differenziale di Bush dovevano tradursi in qualcosa di concreto e nei mesi conclusivi del 1940 Wiener è sempre più convinto che i matematici debbano abbandonare la “purezza” e sporcarsi le mani. Per ottenere risultati pratici c’era bisogno di esperti in tecniche computazionali, provenienti dalla Remington-Rand o dall’IBM, gente che avesse familiarità con le valvole termoioniche, che padroneggiasse tecniche di ingegneria delle comunicazioni come la telefonia. «Se non posso trovare tutti questi talenti riuniti in un solo uomo, sarò costretto a mettere insieme un team di persone ognuna con un talento specifico in un campo e una conoscenza generale degli altri. In questo gruppo probabilmente io dovrei essere l’unico matematico (…) e dovrò oltrepassare i normali limiti della professione.» (Lettera a Marston Morse, 12/3/1941) Sebbene il programma di Wiener sarà infinitesimamente più piccolo di altri – ad esempio il Radiation Laboratory, per non parlare del progetto Manhattan di Los Alamos – il suo gruppo assai ristretto e il suo budget quasi irrisorio, i risultati in termini di integrazione dei sistemi uomo-macchina avranno tali e tante ripercussioni che nel dopoguerra il suo valore sarà incalcolabile.

Tornando all’AA predictor, nel gennaio del ’41 Wiener chiama a lavorare con sé un ingegnere elettrotecnico del MIT, Julian Bigelow, e ben presto si rendono conto che il meccanismo deve tenere conto di due movimenti irregolari, quello dell’operatore di terra che gira la manovella per seguire il suo bersaglio sul puntatore telescopico, e quello del pilota che per sfuggire al fuoco contraereo procede zigzagando. Entrambi devono essere filtrati, e Wiener adopera i suoi vecchi studi dei servomeccanismi, apparecchi a retroazione come i termostati o i siluri autoguidati, anche se in questo caso il problema era maggiore data la discrepanza temporale tra l’azione e l’effetto prodotto, una ventina di secondi prima che il proiettile colpisca l’obiettivo in aria. «Abbiamo capito che la “casualità” o irregolarità della traiettoria di un aeroplano è introdotta dal pilota; che nel tentativo di costringere il suo velivolo dinamico a eseguire una manovra utile, ad esempio un volo in linea retta o una virata a 180°, il pilota si comporta come un servomeccanismo, cercando di vincere il ritardo dovuto alla dinamica del suo aereo in quanto sistema fisico, come risposta a uno stimolo che aumenta in intensità in proporzione al livello con cui non è riuscito a svolgere il suo compito. Altro fattore importante, la reazione cinestetica del pilota al movimento dell’aereo è ben diversa da quella che tutti gli altri sensi lo porterebbero normalmente ad aspettarsi, di modo che per poter volare con precisione deve dissociare la sua cinestetica dal suo senso visivo.» (Summary Report for Demonstration, inviato il 10/6/1942 al Office of Science and Research Development, National Defense Research Committee).

Un problema fisico e psicologico, dato che il pilota opera in mezzo al fuoco della contraerea, tra le turbolenze dell’aria e i fasci di luce dei proiettori, e Wiener nota che sotto stress l’essere umano tende a comportarsi in modo ripetitivo e dunque prevedibile. Così, assieme a Bigelow, un esperto pilota, e al tecnico Paul Mooney, compiono una serie di esperimenti di simulazione costruendo una speciale apparecchiatura in grado di dare la sensazione di avere tra le mani i comandi di un aereo e avvalendosi di proiezioni sul muro di luci che ricreavano sia la posizione dell’aereo sia la perlustrazione dei proiettori contraerei. I dati elaborati in seguito dall’AA predictor dimostrano che le “reazioni nervose” dello pseudo pilota presentano caratteristiche importanti: le differenze tra i diversi piloti sono minime e c’è un alto livello di correlazione tra i movimenti del singolo pilota prima e dopo la situazione di pericolo. Se la previsione non funziona molto per l’insieme dei piloti, è però abbastanza accurata nell’analisi di ciascun operatore. A margine, Wiener suggerisce l’utilità di adoperare «un’apparecchiatura simile nella diagnosi delle differenze individuali nel comportamento riflesso e delle condizioni patologiche che riguardano l’arco riflesso spinale. Molti altri ampliamenti di queste idee si imporranno da sé a fisiologi, neuropatologi ed esperti in test attitudinali.» (Ibid.)

L’AA predictor perciò non è soltanto il primo congegno cibernetico ma anche un prototipo di macchina ad apprendimento, e sono le caratteristiche dell’essere umano ai comandi del velivolo a dover essere studiate, in modo da calcolare le sue mosse future e colpirlo a morte. Questo operatore può opporre qualche comportamento strategico per evitare di essere colpito: «Se tale azione potesse venire liberamente eseguita dal pilota, ed egli fosse in grado di fare un uso intelligente delle sue possibilità, come per esempio ci aspettiamo da un buon giocatore di poker, avrebbe tante possibilità di modificare, prima dell’arrivo di un proiettile, la sua posizione prevista, che le probabilità di abbatterlo non sarebbero molte, tranne forse nel caso di un ampio sbarramento di fuoco. D’altro lato, il pilota non ha completa libertà di manovrare come vuole. In primo luogo, egli si trova su un aereo che vola a velocità elevatissima, e una deviazione troppo brusca causerebbe un’accelerazione tale da fargli perdere i sensi o da disintegrare l’aereo. In secondo luogo, egli può controllare l’aereo soltanto mediante il movimento delle superfici di governo, e ogni nuovo regime di volo richiede un certo tempo, seppure breve, per stabilirsi. Anche quando si è pienamente stabilito, esso varia semplicemente l’accelerazione dell’aereo, e questa variazione di accelerazione, per diventare efficace, deve prima convertirsi in variazione di velocità e poi in variazione di posizione. Inoltre, un pilota sotto la tensione del combattimento non è nelle condizioni migliori per impegnarsi in un’azione sciolta, libera e complessa, ma seguirà con ogni probabilità il modello di comportamento cui è stato addestrato.» (Norbert Wiener, La cibernetica. Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina [1948/1961], il Saggiatore, Milano 1968, p. 28)

Dal lavoro sulla contraerea Wiener trae una lezione fondamentale, ovvero che è indispensabile concettualizzare il pilota e l’arma, in quanto servomeccanismi, all’interno di un unico sistema. Come ricorderà anni dopo, per quanto si possa riuscire a eliminare questa o quella funzione umana dai sistemi d’arma, «non pare nemmeno lontanamente possibile eliminare l’elemento umano così come si presenta nel comportamento del nemico. Pertanto, al fine di ottenere il trattamento matematico più completo possibile dell’intero problema del controllo, è necessario integrare le diverse parti del sistema in un singolo fondamento, o umano o meccanico. Dal momento che la nostra conoscenza degli elementi meccanici del puntatore d’arma ci sembra molto più avanzata rispetto alla conoscenza della psicologia, abbiamo scelto di provare a cercare un analogo meccanico del puntatore d’arma e del pilota di aereo.» (Norbert Wiener, I Am a Mathematician, pp. 251-52) La teoria del servomeccanismo sta per diventare la misura dell’uomo.

Inoltre Wiener ha la grande intuizione che la missione fondamentale dell’elettronica sia quella di sopprimere il disturbo e trasmettere l’informazione: «gli studi più moderni sugli automi, sia artificiali che naturali, sono una branca della tecnica delle comunicazioni, e in essi le nozioni fondamentali sono quelle di messaggio, di quantità di disturbo o “rumore” – un termine questo preso dalla tecnica telefonica – di quantità d’informazione, di sistema di codificazione, e cosi via.» (La cibernetica, p. 70). Ma le sue idee erano divergenti da quelle di molti altri fisici, perciò il 21/3/1942 rassegna le sue dimissioni dal Radiation Laboratory al direttore E. L. Bowles. Non voleva più perdere il suo tempo con puerilità, con l’inutile soluzione di problemi teorici: senza la conoscenza dei processi di comunicazione gli sforzi sarebbero rimasti al livello dei boy-scout.

In quei giorni era nervoso e lavorava freneticamente, spesso sotto l’effetto della Benzedrina; se ne accorge anche Warren Weaver, all’epoca a capo dell’Applied Mathematics Panel, una sezione dell’Office of Scientific Research and Development che coordinava il lavoro di centinaia di matematici nella ricerca operativa in campo bellico, che lo vede camminare su e giù per una stanza, grondando sudore mentre si scusa per non essere riuscito a calcolare un integrale che abbia una qualche applicazione pratica, che era quello che ci si aspettava da lui. In una lettera del 22/6/1942 all’amico e collega John Haldane dice: «Il behaviorismo come lo conosciamo è un metodo consolidato di studio biologico e psicologico, ma da nessuna parte ho visto un tentativo adeguato di analizzare le possibilità intrinseche ai diversi tipi di comportamento. Questo è diventato per me necessario in rapporto alla progettazione di un’attrezzatura che compia specifici scopi nel modo della ripetizione e della modifica di pattern temporali.» Wiener non specifica il contenuto degli studi per questioni di sicurezza, poi aggiunge che l’esame di un apparato da questo punto di vista è una componente fondamentale dell’ingegneria della comunicazione, dove la funzione di uno strumento tra quattro terminali è specificata prima che qualcuno si occupi di com’è realmente costituito l’apparato all’interno della scatola. Senza entrare nel dettaglio del significato della scatola nera (e bianca) in elettrotecnica, quel che conta è che Wiener suggerisce ad Haldane che fino ad allora «nessun comportamentista aveva ancora realmente capito le possibilità del comportamento». È chiaro che considerava l’AA predictor, che nei giorni in cui scriveva questa lettera era quasi pronto per essere inaugurato, come il prototipo di un nuovo modo behaviourista di intendere il sistema nervoso stesso.

Pochi giorni dopo, il 1° luglio, l’esperto di computer George Stibitz, che lavorava ai laboratori della Bell e durante la guerra era consulente per il National Defense Research Committee, visita il laboratorio in cui operano Wiener, Bigelow e Mooney, rimanendo profondamente stupito: a suo avviso il loro strumento di previsione statistica compie miracoli. Scriverà nel suo rapporto: «Wiener fa notare come la loro apparecchiatura sia probabilmente uno degli approcci meccanici che si sia maggiormente avvicinato al comportamento psicologico. Tra parentesi, il predictor è basato su buone idee behaviouriste, dato che cerca di prevedere azioni future di un organismo non studiando la struttura dell’organismo ma studiando il comportamento passato dell’organismo.»

 

 

Sommario 6.4

  • Introduzione
  • VAX Der Layden (Ursula von der Leyen al Global Citizen Festival di New York, 28/9/2024)
  • Evgenij Zamjatin, Noi – tratto dall’Appunto 15
  • Leonardo Lippolis – Un oscuro scrutare. La trasparenza distopica di Smart City ( Introduzione alla nuova edizione del 2024 di Viaggio al termine della città, Eleuthera, 2009) – PRIMA PARTE (Testo)

 

Riferimenti 6.4

  • Cabaret Voltaire, Exterminating Angel (Intro) + The Message (The Conversation, 1994)
  • Cabaret Voltaire, The Power (Of Their Knowledge) (Shadow of Fear, 2020)
  • Krisma, Metropolis (Emo-Euro-Emo, 2008)
  • Derek Jarman, Jubilee (1978)
  • Joy Division, Failures of the Modern Man (An Ideal For Living, 1978)
  • Brian Eno, Slow Water (Jubilee, 1978)
  • Joy Division, Incubation (Substance, 1988)
  • Joy Division, These Days (Live at Les Bains Douches, Parigi, 18/12/1979)
  • The Original Adam and the Ants, Plastic Surgery (Jubilee, 1978)
  • Wayne County & The Electric Chairs, Paranoia Paradise (1977)
  • Suzi Pinns, Rule Britannia + Jerusalem (Jubilee, 1978)
  • John Foxx, New Kind of Man (Metamatic, 1980)