Episodio 3.38
Chiudiamo questa lunga parentesi dedicata a Nicholas Negroponte e ai suoi studi pionieristici riportati in La macchina per l’architettura che, come abbiamo visto, «deve capire le nostre metafore, deve procurarsi informazioni per conto suo, acquistare esperienze, parlare con un’ampia varietà di persone, migliorare col tempo e essere intelligente» (p. 169). Per sviluppare questa supposta intelligenza della macchina informatica e non limitarla al ruolo di “calcolatore”, al MIT si svolgevano studi riguardanti la “generazione di soluzioni”, come LEARN e GROWTH; la gestione e l’immagazzinamento delle informazioni, come DISCOURSE oppure MEMORY dell’Urban Systems Laboratory; infine la “simulazione di eventi”, la cui importanza Negroponte aveva intuito già allora. «Quando si conoscono sufficienti regole empiriche o sperimentali di un processo, è possibile far assumere alle macchine il carattere di quell’evento e far loro ripetere un finto accadimento di quel processo – cioè una simulazione. Questa forma di finzione meccanica, se condotta con ragionevole rigore, è un mezzo formidabile per perfezionare un insieme originale di regole o per precollaudare procedimenti e progetti» (p. 74)
All’epoca ricerche e applicazioni erano legate principalmente ai flussi urbani, pedonali e automobilistici – vedi lo studio di Daniel Ross del Dipartimento di Studi Urbani del MIT denominato CARS (Computer-automated routing and scheduling) – tuttavia Negroponte intravede la probabile, diremo inevitabile estensione della Macchina Informatica ad altri campi, fino alla sua onnipresenza domestica (ne sa qualcosa un altro famoso nocchiere cibernetico nonché autore di simulazioni Pandemiche, Bill Gates, pure lui preconizzatore del computer in ogni casa). Inoltre, sempre secondo il primo ciber-architetto, un campo di ricerca fertile è quello dei giochi che, citando Arthur Samuel, «sono un ottimo mezzo per studiare metodi di simulazione di certi aspetti del comportamento intellettuale: perché sono divertenti e perché riducono il problema a dimensioni controllabili.» (“Programming Computers to Play Games”, Advances in Computers n° 1, 1960).
Si chiede Negroponte: «Perché il “gioco della progettazione” è considerato all’avanguardia e di moda? A che servono i giochi?» E si risponde: «I giochi sono un mezzo di apprendimento sia per gli uomini che per le macchine. “Il gioco e l’apprendimento sono altrettanto connessi, e non è difficile dimostrare il rapporto tra intelligenza e gioco”. (McLuhan, Gli strumenti del comunicare, 1965) Implicano un insieme di strategie, tattiche, obiettivi e processi che sono utili al di fuori dell’astrazione del gioco e certamente nella progettazione.»
Uno dei campi d’applicazione privilegiati per studiare l’intelligenza della macchina era ovviamente la scacchiera. «Storicamente gli scacchi sono stati il diploma di laurea della macchina. Nel 1769 il barone Kempelen costruì una macchina truccata per giocare a scacchi: l’automa Melzel. Il trucco era basato sugli armeggi di un nano nascosto che osservava dal di sotto le mosse e manovrava un fantoccio meccanico. (…) Le prime ricerche di Claude Shannon nel 1956 e i successivi studi di Henri Simon e Baylor del 1966 hanno portato alla costruzione di macchine per giocare a scacchi che rivelano tecniche sofisticate per l’assunzione di decisioni intelligenti mediante previsioni strategiche. Dato che le posizioni degli scacchi sono circa 1 seguito da 120 zeri… è improbabile che un dispositivo di calcolo possa esplorare completamente tutte le possibili linee d’azione. Perciò la macchina che gioca a scacchi osserva le situazioni locali, esamina un numero limitato di mosse future e fa una congettura.» (p. 101-103)
Nicholas Negroponte sapeva che uno dei problemi centrali era trovare l’equilibrio tra individuo e massa, tra la singola macchina e la Rete, ben riassunto già nel ’67 da Shubik: «La moderna teoria delle decisioni, l’economia, la psicologia e la teoria dei giochi hanno come presupposto la scelta individuale chiaramente motivata in condizioni di informazioni complete. È noto però che due spiacevoli realtà ci allontanano dalla relativa semplicità di questo presupposto. La prima riguarda l’uomo come elaboratore di informazioni e la seconda il conflitto tra le preferenze individuali e di gruppo.» (Martin Shubik, “Information, Rationality and Free Choice in a Future Democratic Society”, Daedalus n° 3, 1967) Il fulcro delle idee di Negroponte (e colleghi) è contenuto nel paragrafo seguente, che abbozza una risposta al dilemma cibernetico e che, ahinoi, merita di essere riportato nella sua interezza. Il titolo profetico è “Macchine a domicilio”.
MACCHINE A DOMICILIO
«Per la gente di classe inferiore ci vogliono cucine grandi; per quella di classe media ci vogliono camere da letto grandi; i corridoi vanno bene per i poveri, eccetera eccetera. Criteri architettonici generali consentono agli enti federali di stabilire degli standards minimi, permettono agli architetti di ignorare i casi particolari e piacciono molto a chi ama le generalizzazioni empiriche. Le generalizzazioni empiriche, insomma, fanno molto comodo a chi deve prendere le decisioni, ma non giovano necessariamente al benessere della gente.
Oggi esiste l’advocacy planning, un metodo di progettazione che cerca di evitare il livellamento degli stili di vita, di soddisfare le esigenze particolari. I tentativi di accertare i bisogni e i desideri individuali possono assumere varie forme: il questionario (riempite gli spazi vuoti), le riunioni di quartiere (siamo qui per ascoltare i vostri problemi), l’intervista personale (ditemi che cosa volete). Si noti che in ognuno di questi mezzi di comunicazione si suppone che l’interrogante sappia che cosa chiedere, che l’interrogato sappia che cosa rispondere e che le opinioni non mutino rapidamente. Inoltre l’advocacy planning opera in un tempo così irreale che nel frattempo le opinioni e i desideri dei singoli abitanti cambiano.
Ipotizziamo due progressi tecnologici futuri: primo, sistemi edilizi versatili capaci di rispondere al mutamento (per mese, stagione, anno) dei bisogni umani; secondo, terminali di computer domestici capaci di parlare in modo grafico e uditivo.
In un futuro non troppo lontano avremo «consoles di computers installate in ogni casa… il sistema chiuderà le finestre quando piove.» (J. McCarthy, “Information”, Scientific American n° 3, 1966) Per mezzo della televisione via cavo (potenzialmente un dispositivo a due vie) o dei video-telefoni (come il Picturephone prodotto nel 1969 dalla Bell), queste macchine onnipresenti potrebbero funzionare da assistenti sociali a disposizione in ogni ora del giorno e della notte per dare o ricevere informazioni. (…)
Con le macchine in casa, ogni cittadino potrebbe partecipare intimamente alla progettazione del suo ambiente fisico dialogando (in pratica) con le proprie esigenze. Oppure l’interazione si può anche intendere nel senso che tutti parlerebbero con l’architetto non esplicitamente, ma implicitamente, attraverso un dialogo da macchina a macchina. Gli architetti risponderebbero alle particolari situazioni di un quartiere e proporrebbero alternative da esaminare – superando forse in questo modo il divario tra progettista e abitante che esiste oggi nel problema dell’abitazione.
Già ora il telefono a tastiera dà origine a un terminale di computer domestico il cui gergo a dieci bottoni si presta a una conversazione potenzialmente ubiqua uomo-macchina. Associati a elementi di risposta audio, questi telefoni possono dialogare con la pressione dei pulsanti come “ingresso” e la lingua parlata come “uscita”. Frank Westervelt ha incorporato nel 1968 tale sistema nel Centro di Calcolo dell’Università del Michigan. Come sviluppo di quest’ultimo, Richard Hessdorfer sta elaborando un interlocutore meccanico basato sulla lingua inglese. La macchina di Hessdorfer è un oggetto di consumo (non uno strumento industriale o professionale) che un giorno potrebbe essere in grado di parlare ai cittadini per mezzo del video-telefono a tastiera o la televisione via cavo interattiva.
Nell’ambito di questo esperimento, si portò un dispositivo telescrivente nel South End, un ghetto di Boston, e si invitarono tre abitanti del quartiere a parlare con la macchina nel loro ambiente locale. Benché la conversazione fosse intralciata dalla necessità di scrivere a macchina, riuscì abbastanza sciolta da dimostrare due cose importanti: primo, i tre abitanti non avevano nessuna difficoltà o diffidenza a parlare in inglese con una macchina dei loro desideri personali; non scrivevano osservazioni non richieste, ma iniziavano immediatamente un dialogo sui proprietari degli slums, sulle strade, le scuole eccetera; secondo, i tre abitanti-utilizzatori dicevano alla macchina cose che forse non avrebbero detto a un’altra persona, soprattutto a un urbanista o un politico bianco. Per loro la macchina non era né negra né bianca e certamente non aveva pregiudizi. (I tre utilizzatori non sapevano che l’esperimento si svolgeva attraverso linee telefoniche collegate alle telescriventi, e che all’altro capo c’era un uomo e non una macchina. Presto sarà ripetuto, stavolta con una macchina all’altro capo della linea telefonica).
Con queste macchine domestiche (addomesticate) il compito di progettazione diventa quello di armonizzare le preferenze individuali con quelle di gruppo. Le macchine controllerebbero la propensione al mutamento del corpo politico. Grandi elaboratori centrali – macchine madri – potrebbero interpolare e estrapolare i desideri collettivi locali esaminando una vasta popolazione di “macchine del consumatore”.
Ciò che distinguerà queste macchine dall’ambiente di Brave New World è che esse potranno (e dovranno) cercare l’eccezione (nei desideri e nelle esigenze), l’uno su un milione. In altre parole le nostre macchine onnipresenti non si ecciteranno quando la generalizzazione concorda con l’aspirazione locale: la nostra macchina reagirà quando il particolare si differenzia dalle preferenze di gruppo, e non per contrastarlo, ma per soddisfarlo.»
La macchina per l’architettura (1969), Il Saggiatore, Milano 1972 (p. 85-88)
Sommario 3.38
- Introduzione con “Macchine a domicilio”
- AMMAZZARE IL TEMPO – TESTO
- Comunismo e Intelligenza Artificiale (Cina: l’AI per scoprire gli infedeli di Jeff Hoffman)
- Marcello Cattani, presidente Farmindustria (Basta la salute RaiNews 12/7/2022)
- MANIFESTO DEGLI SCIMPANZÉ DEL FUTURO (Terza parte – Capitolo 8) – Di fronte ai decostruttori dell’umano: 4a puntata – TESTO
- Marcello Cattani Reprise
Riferimenti 3.38
- Deutsch Nepal & The Moon Lay Hidden Beneath A Cloud, Untitled III + Untitled II + Untitled I (A Night In Fear, 1999)
- George Antheil, 44 Prèludes And Percussion Dance For Piano: Slowly (La Femme 100 Tetes, 1933)
- Coil, 7-Methoxy-β-Carboline: Telepathine (Time Machines, 1998)
- Depeche Mode, Timeless – Kruder & Dorfmeister remix (Depeche Mode Remixes 81…04, 2004)
- Giuseppe Bertolucci, Berlinguer ti voglio bene (1977)
- Maxmaber Orchestar, Russian Sher (Ajde Jano!, 2007)
- The Advent, Bad Boy [Remix] (Shaded Elementz, 1996)
- Pol Silentblock, Overdose (NO MORE SEXISM / Female Tape / No Macho Side, 1997)
- MGZ, Hai paura? [bum bum version] (Cambio vita, 1995)