Episodio 2.21

Episodio 2.21

Prima di addentrarci nella polemica di Lefebvre contro gli strutturalisti, facciamo uno scalo per approfondire proprio la questione delle critiche mosse alla cibernetica. Celine Lafontaine, infatti, non ha ancora accennato – per motivi di spazio e forse di pertinenza – a quelle voci contrarie agli sviluppi tecno-scientifici del dopoguerra, che erano davvero molte e di provenienza la più disparata (Anders, Arendt, Charbonneau, Ellul, Mumford e la lista potrebbe continuare a lungo), e che inseriremo qua e là nel prosieguo del racconto.

Ma una delle primissime critiche mosse in maniera diretta alla cibernetica viene dall’Internazionale Situazionista, a torto bollata in modo sbrigativo come favorevole a priori alla tecnologia e all’automazione, ma che in realtà già nei primi anni ’60 aveva individuato nella cibernetica una nuova forma di espressione materiale del potere, così come nel linguaggio il veicolo principale della sua diffusione.

La critica di questo linguaggio colonizzato dall’informatica sarà opera della poesia divenuta rivoluzionaria, perché ogni rivoluzione è nata nella poesia e si fa innanzitutto con la forza della poesia. Contrari all’idea di un sistema totale da cui è impossibile sfuggire, già da allora i situazionisti invitavano a contrastare l’informazione ufficiale e ad organizzare il pensiero libero nella prospettiva di una clandestinità che sarà (chissà ) incontrollabile dalle tecniche di polizia informatica.

Questi sono alcuni passaggi tratti dal bollettino n° 8 dell’IS del gennaio 1963:

ALL THE KING’S MEN – «Il problema del linguaggio è al centro di tutte le lotte per l’a­bolizione o il mantenimento dell’alienazione presente; inseparabile dall’insieme del terreno di queste lotte. Viviamo nel linguaggio come nell’aria viziata. Contrariamente a ciò che pensano le persone di spi­rito, le parole non giocano. Non fanno l’amore, come credeva Breton, salvo che in sogno. Le parole lavorano, per conto dell’organizzazio­ne dominante della vita. E ciononostante, non sono robotizzate; a dispetto dei teorici dell’informazione, le parole non sono di per se stesse “informazioniste”: alcune forze si manifestano in esse o pos­sono scombinare i calcoli. (…) Sotto il controllo del potere, il linguaggio designa sempre altro dal vissuto autentico. È precisamente in questo punto che ri­siede la possibilità di una contestazione completa. La confusione è divenuta tale, nell’organizzazione del linguaggio, che la comunica­zione imposta dal potere si svela come un’impostura e un imbro­glio. Invano un embrione di potere cibernetico si sforza di collocare il linguaggio alle dipendenze delle macchine che controlla, in modo che l’informazione sia ormai la sola comunicazione possibile. (…) Il potere vive di ricettazione. Non crea niente, recupera. Se cre­asse il senso delle parole, non ci sarebbe poesia, ma vi sarebbero soltanto delle “informazioni” utili. Non ci si potrebbe mai opporre nel linguaggio, e ogni rifiuto sarebbe esterno. Ora, cos’è la poesia se non il momento rivoluzionario del lin­guaggio, inseparabile in quanto tale dai momenti rivoluzionari della storia, e della storia della vita personale? La presa di possesso del linguaggio da parte del potere è assi­milabile al suo impadronirsi della totalità. Solo il linguaggio che ab­bia perso ogni riferimento con la totalità può fondare l’informazione. L’informazione è la poesia del potere (la contropoesia del manteni­mento dell’ordine), è il trucco mediatizzato di ciò che è. Al contrario, la poesia deve essere capita in quanto comunicazione immediata nel reale e modificazione reale di questo reale. Non è altro che il lin­guaggio liberato, il linguaggio che riacquista la propria ricchezza e, spezzandone i segni, ricopre insieme le parole, la musica, le grida, i gesti, la pittura, la matematica, i fatti. (…) gli informazionisti si sono messi a combattere tutte le “ri­dondanze” della libertà per trasmettere semplicemente degli ordini. I pensatori dell’automatizzazione mirano esplicitamente ad un pensie­ro teorico automatico, attraverso la fissazione ed eliminazione delle variabili nella vita come nel linguaggio. (…) i pensatori informazionisti si comportano da grossolani precursori dei brevetti per il futuro che hanno scelto, e che sono per l’appunto quelli che modellano le forze dominanti della società attuale: il rafforzamento dello Stato ciberne­tico.»

 

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Sommario Ep. 2.21

 

Riferimenti Ep 2.21

  • Officine Schwartz, Il dio macchina ha voluto il caos (Stoccaggio, armonia e meccanica, 1983/1994)
  • Thelonious Monk, Don’t Blame Me (live in Danimarca, aprile 1966)
  • Light bearer, Armoury Choir (Lapsus, 2011)
  • Uutai Olena, Blessing of Nature (live in Sacha/Jacuzia)
  • Arab Strap, Screaming in the Trees (The Red Thread, 2011)
Link alla puntata su Radio Blackout