Episodio 6.11
Applicabile tanto alla rete neurale quanto a un computer elettronico, il modello presentato da McCulloch e Pitts assumeva la forma di riduzionismo sia organico sia meccanicistico, dove l’evento psichico, l’esperienza associata all’attività neuronale, non è altro che un epifenomeno e occupa una posizione marginale. L’approccio di McCulloch non aveva molto in comune con le contemporanee tendenze delle scuole di psicologia e psichiatria: l’attenzione che riservava al pensiero e alla mente era irrilevante da un punto di vista comportamentista; l’enfasi posta sulla logica proposizionale e sulla fisiologia era di scarso interesse per gli psicanalisti; il disinteresse per il processo dello sviluppo individuale, dall’infanzia all’età adulta, lo escludeva dal campo di indagine della psicologia evolutiva; il riduzionismo atomistico sembrava in contrasto con le premesse implicite nella psicologia della Gestalt e il fatto di privilegiare il meccanismo sull’esperienza soggettiva lo poneva in disaccordo con i fenomenologi. Come nel caso di Wiener, anche lui predicava nel deserto.
McCulloch come formazione era un filosofo. All’inizio si era interessato «al problema di come sia mai potuta nascere una cosa come la matematica e che genere di oggetto essa fosse», poi gradualmente «scivolai verso la psicologia e di lì, dato che non riuscivo a trovare variabili significative, mi sentii spinto verso la neurofisiologia.» (Steve J. Heims, I cibernetici. Un gruppo e un’idea [1991], Rusconi, Milano, 1994, pp. 37-38) La domanda che si pose, e che lo seguì per il resto della sua avventura scientifica, era: “Che cos’è un numero che un uomo possa conoscere, e cos’è un uomo che può dire di conoscere un numero?”. Ma per darsi una risposta all’inizio si rivolse all’animale, allorché negli anni Trenta prese come oggetto/vittima delle sue ricerche alla Medical School dell’università di Yale gli scimpanzè. Come dice Steve Heims, «McCulloch studiò in particolare la corteccia cerebrale, quella materia grigia che forma lo strato più esterno degli emisferi cerebrali e che svolge un ruolo centrale di connessione con le funzioni mentali più raffinate e complesse. Nell’esperimento divenuto oramai classico, McCulloch e i suoi collaboratori attivando una specifica regione della corteccia cerebrale con una scarica elettrica o un’applicazione di stricnina facevano viaggiare un impulso elettrico da una cellula nervosa o da un gruppo di cellule nervose all’altro secondo un percorso caratteristico del particolare punto stimolato. L’espansione dello stimolo era registrata attraverso una serie di elettrodi posti in vari punti sulla superficie della corteccia cerebrale. Scopo di questo e di altri esperimenti era quello di disegnare una mappa dei “tracciati funzionali” della corteccia, le strade attraverso le quali gli impulsi viaggiano nel cervello.» (Ibid.)
McCulloch stabilì una corrispondenza formale tra la logica, che si basa su proposizione vere o false, e il funzionamento dei neuroni che possono essere “accesi” o “spenti”; inoltre nella corteccia cerebrale questi sono collegati tra loro in modo che l’eccitazione di uno porta all’eccitazione a catena degli altri, analogamente alle proposizioni logiche dove la verità di una implica la verità della successiva. Di qui, oltre alla possibilità di «considerare le reti neurali come funzionalmente equivalenti a una macchina tuttofare o a un computer capace di ragionamento logico», si sarebbe potuto «attraverso l’uso combinato di una rigorosa logica formale e di accurati esperimenti neurofisiologici (…) capire scientificamente in che modo noi conosciamo i numeri e altre cose.» (Ibid.)
Warren McCulloch, come molti altri templari della cibernetica, non deve essere visto con lo stereotipo del «meccanicista freddo e coercitivo, ossessionato dal potere e dall’efficienza.» (Steve J. Heims, I cibernetici. Un gruppo e un’idea [1991], Rusconi, Milano, 1994, p. 45) Persona generosa che amava lavorare con gli altri, era al tempo stesso uno spirito individualista e anticonformista, fuori dagli schemi di pensiero dominanti negli anni ’30-40. «Anche Clerk Maxwell, interessato solo a capire la relazione tra pensiero e moto molecolare del cervello, liquidò i suoi dubbi con la famosa frase “ma la strada che vi conduce non passa forse per il profondo antro del metafisico, coperta dalle ossa dei precedenti esploratori e detestata da ogni uomo di scienza?”. Lasciateci semplicemente rispondere “Sì” alla prima metà della domanda e “No” alla seconda metà e quindi proseguire serenamente. La nostra avventura è per il momento una grande eresia.» (Warren McCulloch, “Through the Den of the Metaphysician”, testo della conferenza tenuta al Philosophical Club dell’università della Virginia il 23 marzo 1948. In Embodiments of Mind, MIT Press 1965)
La grande scelta che la cibernetica stava compiendo, paradossalmente come risposta al male che si era manifestato durante la seconda guerra mondiale, era di equiparare prima nella teoria e poi nella pratica gli esseri umani alle macchine, ma ciò poteva avere strane ripercussioni; lo stesso McCulloch, già avanti negli anni, nel corso di un’animata discussione sulla metafora della macchina disse abbastanza seccamente: «Non amo particolarmente la gente, non l’ho mai amata. Per me l’uomo è forse il più cattivo, il più distruttivo di tutti gli animali. Se saprà costruire macchine capaci di divertirsi più di quanto non faccia egli stesso, non trovo ragioni per oppormi al fatto che queste possano prendere il controllo e sottometterci felicemente.» (Citato in Mary Catherine Bateson, Our Own Metaphor, 1972, p. 226)
Al contrario, in più occasioni parlò di intesa se non amore con le macchine, che d’altronde dimostrava nella pratica quotidiana riparando, usando e costruendo macchine a casa sua, dalle automobili agli strumenti di laboratorio, e alla fine della carriera quando era in Inghilterra a studiare l’intelligenza artificiale, sostenne che si sarebbero potute progettare macchine in grado di «provare emozioni, allucinazioni o deprivazioni sensoriali». (“Where Is Fancy Bred?” in Lectures on Experimental Psychiatry, 1961 – poi in Embodiments of Mind) Insomma, sognava – e progettava – di «umanizzare le macchine», anche perché in cuor suo vedeva gli esseri umani come «macchine che pensano e che vogliono». (“Machines That Think and Want”, inizialmente intitolato “Brain and Behavior”, in Comparative Psychology Monograph 20, N. 1, 1950 – poi in Embodiments of Mind)
Nella conferenza del settembre 1948 su computer e meccanismi cerebrali, sponsorizzata dalla fondazione Hixon e tenutasi al California Institute of Technology di Pasadena, ammise che gli esseri umani andavano distinti dai robot sia per il processo di sviluppo individuale attraverso l’interazione con l’ambiente, sia per «la gioia di creare ideali, nuovi ed eterni». (“Why the Mind Is in the Head”, in Cerebral Mechanisms in Behavior, 1951 – poi in Embodiments of Mind) Eppure in altre occasioni avrebbe minimizzato o negato questa distinzione, come durante la sua lezione sui robot etici alla 13a conferenza su Scienze, filosofia e religione del settembre 1952 quando, prendendo spunto dalla teoria di von Neumann sugli automi che si autoriproducono e sul fatto che si può rendere una macchina capace di apprendere e quindi migliorarsi, McCulloch suggerì che sia possibile «considerare l’Uomo stesso come un prodotto di un processo evolutivo di sviluppo dei robot, generati da robot più semplici, e così indietro fino alla melma primordiale; e guardo alla sua condotta etica come a qualcosa da interpretare nei termini dell’azione a circuito di quest’Uomo nel suo ambiente – una macchina di Turing con solamente due feedback determinati: il desiderio di giocare e il desiderio di vincere». (“Toward Some Circuitry of Ethical Robots or an Observational Science of the Genesis of Social Evaluation in the Mind-Like Behavior of Artifacts”, Acta Biotheoretica, Vol. XI 1956) – poi in Embodiments of Mind)
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Sommario 6.11
- Introduzione con ex ministro Speranza: “Il famoso protocollo tachipirina e vigile attesa (…) è un’nvenzione dei no-vax”
- Microbot
- Javier Milei, presidente dell’Argentina, nel discorso al Polo Científico Tecnológico per l’apertura della Semana de la Inteligencia Artificial (2/12/2024)
- Raoul Dalmasso – CIBERNETICA DEL WETWARE. Un’etnografia cyberpunk (Rivista Malamente n°35, gennaio 2025) – SECONDA PARTE (con Alan Whone, neurologo al North Bristol NHS Trust, che spiega come uno degli ultimi progressi nella DBS – il neurostimolatore Medtronic Percept PC – può aiutare programmatori e neurofisiologi con il biofeedback proveniente dalle forme d’onda elettriche del cervello)
- BIOBANCA-DATI PER SANGUE DI CENTENARI (TgLeonardo, 3/12/2024)
- Progetto Stargate e Vaccini a mRNA (Trump e Larry Ellison di Oracle, 21/1/2025)
- Javier Milei, continua…
- Imperia: Autobus-navetta senza conducente (TgR Liguria, 10/1/2025)
- Droni su Torino Smart City
- Salvini: Lucido sì, lucido no
Riferimenti 6.11
- Karl Hector & The Malcouns, The Spirit Of Gine + Who’s Foolin’ Who? + Mission Control + Karadeniz (Unstraight Ahead, 2014)
- Psyche/BFC, Neurotic Behavior (Elements, 1989-1990)
- Steven Stapleton & David Tibet, The Dead Side of the Moon (Musical Pumpkin Cottage, 1996)
- Nurse With Wound, Cold (Thunder Perfect Mind, 1992)
- Humanwine, What Kidz Sey (For Burning Cities Present, 2004)
- The Velvet Underground, European Son (The Velvet Underground & Nico, 1967)
- The Clockwork Dolls, Compilation of Incomplete Instrumental Sketches [And Then Some] (The Complete Instrumental Collection, 2011)
- Eskorbuto, Cerebros Destruidos (Anti Todo, 1987)