Episodio 7.4

Nata come semplice strumento di mediazione, come tecnica di gestione dei gruppi, per magia la facilitazione diventa veicolo di «trasformazione sociale e culturale». Orfana dei suoi vecchi ideali e in sintonia con un’epoca assai lunga di riflusso, di ripiegamento – quasi un trincerarsi – in ambiti personali, la sinistra transmoderna abbandona la trasformazione radicale rivoluzionaria per una più comoda modifica superficiale, al cui fine non servono più resistenze, lotte, insurrezioni, ma basta «un lavoro interiore che allena attitudini, consapevolezza di sé, abilità di facilitazione. Potremo essere così al servizio della dimensione collettiva». Questa idea non è solo ridicola ma anche pericolosa, in quanto sposta sugli individui (o sui piccoli gruppi) la responsabilità di vivere in modo appagante ed ecologico, come se sotto il giogo del capitalismo cibernetico fosse possibile per gli oppressi condurre esistenze pienamente libere e piacevoli, essere “in sintonia con Madre Terra” e tutto il repertorio freak di stereotipi ereditati dai figli dei fiori. Si tratta grossomodo della famigerata decostruzione, anche se il team facilitatore che è intervenuto a Mondeggi – e che in Italia possiede pressoché il monopolio professionale – non adopera questo termine e preferisce parlare di «disimparare certi schemi per fare spazio a nuovi modi di relazionarsi»… ma il risultato non cambia, ossia non si mette in discussione la natura di questa dimensione collettiva che invece può benissimo rimanere così com’è, quella delle democrazie parlamentari occidentali, magari rivedute e corrette, ma sostanzialmente difese e propensi a migliorarle.

Perché confrontarsi con la megamacchina che ci divora (e con gli inevitabili rischi e “presa male” che questo comporta) quando possiamo cambiare la società semplicemente trovando modi più empowering di starcene nelle nostre nicchie? Il corollario implicito di questo pensiero è infatti che non è necessario ostacolare materialmente i progetti del potere, anche quelli più mortiferi (dall’incarcerazione tecnologica delle nostre vite alla distruzione dei territori), tanto il cambiamento virtuoso è già in atto. Da “cambiare se stessi per cambiare il mondo” a cambiare se stessi per non dover cambiare il mondo, per finire a ribollire nel calderone delle migliaia di progetti, meeting, istituzioni che dalla fine del secolo scorso sono state il perno attorno a cui ruotano le politiche della psico-socio-cibernetica dal basso, e che sono altrettante medagliette e specializzazioni ostentate dai facilitatori nel proprio curriculum.

Se si guarda ai siti internet di questo gruppo di professionisti della facilitazione, la lista dei millantati crediti è lunga e si snoda nel tempo e nello spazio: dalle Città in Transizione all’European Citizens’ Panel – emanazione diretta della Commissione europea – dall’Associazione Italiana per la Partecipazione Pubblica a Democratic Society, da Ulex Project a Prossima Democrazia e molte altre ancora, senza scordare che qui nell’area dell’Europa mediterranea la prima palestra di vita, azione e pensiero anche politico dei boss della facilitazione sono stati gli eco-villaggi e i raduni Rainbow, dove i cerimoniali liturgici del culto della presa bene (per gli spagnoli buenrollismo) sono da decenni il fulcro attorno cui queste microcomunità ruotano, si amalgamano e spesso si sgretolano.

Ancora più tragicomico è l’elenco delle competenze contenute nelle loro “cassette degli attrezzi”. Per citarne alcune: Comunicazione Nonviolenta, detta anche linguaggio giraffa, ideato nel 1960 dallo psicologo statunitense Marshall Rosenberg, allievo di quel Carl Rogers di cui parleremo più avanti; ProcessWork o Psicologia orientata al Processo o Arte del Processo, creata da Arnold Mindell, fisico di formazione e poi psicologo di ispirazione junghiana, che ha ideato anche la deep democracy e ha scritto tra gli altri La mente quantica; Oasis Game, metodologia nata in Brasile dall’Istituto Elos per favorire il processo di comunità e che adopera strumenti che vanno dal sogno agli affetti alla cura fino alla celebrazione e ri-evoluzione; Lavoro che Riconnette (The Work That Reconnects) ideato da Joanna Macy (dal cognome del marito, che non c’entra nulla con l’omonima Fondazione) eco-filosofa studiosa di buddismo, teoria generale dei sistemi ed ecologia profonda, allieva di Ervin László; Forum-ZEGG, una forma ritualizzata di comunicazione trasparente per grandi gruppi tramite un metodo di condivisione profonda, sviluppata in Germania negli anni Settanta nell’omonimo ecovillaggio e comunità internazionale. E ancora coaching trasformazionale, partecipazione deliberativa e processi decisionali, lavoro corporeo e con i sogni, sostenibilità umana ed energetica delle organizzazioni, improvvisazione Clown e l’immancabile feticcio… il pensiero sistemico.

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Sommario 7.4

Riferimenti 7.4

  • The Pink Mice, Badinerie Aus Suite Nr. 2, H-Moll (Bach) (In Synthesizer Sound, 1973)
  • The Pink Mice, Italienisches Konzert In F-Dur, 1. Satz / Air Aus Der Suite Nr. 3 In D-Dur / Italienisches Konzert In F-Dur, 3. Satz (Bach) + Sonate Für Klavier Nr. 8 C-Moll (Pathètique), Satz 1-4 (Beethoven) (In Action, 1971)
  • Guo Yue, The Hutongs (Music, Food and Love, 2006)
  • Alteration, Stand By Your Sheep + Fear Of Mayonnaise + Party Political + Trail Of Traps (Up Your Sleeve, 1980)
  • Brainstorm, Cybernatic Noisefly (Part 1&2) (Cybernatical Tonalities, 1992)