Episodio 5.26

Episodio 5.26

Prima di continuare ad affrontare le parentele cibernetiche nelle epoche a noi più vicine, un’ultima divagazione sulla figura di Donna Haraway. Da aralda del cyborg e del postumano, questa scienziata sociale creatrice di vere e proprie mode ideologiche, come tutti i brand della sartoria d’eccellenza ha dovuto operare una continua innovazione per poter vendere i propri modelli. Infatti, nel suo ultimo lavoro di fantascienza politica chiamato Chthulucene abbandona le vecchie collezioni e si lancia in nuove fantasticherie al passo coi tempi, coniando un nuovo termine per descrivere quell’oggetto cibernetico già battezzato Gaia dal duo James Lovelock/Lynn Margulis e poi ripreso e ravvivato da Isabelle Stengers. Lo chiama Terrapolis, la città planetaria: «Terrapolis è ricca di mondo e vaccinata contro il postumanesimo; è ricca di compost e inoculata contro l’eccezionalismo umano, ed è ricca di humus: Terrapolis è pronta per una narrazione multispecie. Terrapolis non è la dimora dell’umano inteso come Homo, con la sua auto-immagine sempre uguale, fallica, al centro di ogni parabola, detumescente e ritumescente, ma è una dimora per l’umano che viene trasformato d’incanto – con un gioco di prestigio della lingua proprio dell’etimologia indoeuropea – in guman, colui che lavora la terra e nella terra.» (Chthulucene, p. 26)

Ma questa svolta in direzione dell’ambiente – che non a caso echeggia i progetti green del dominio e le sue città smart – rappresenta la sublimazione e non l’abbandono delle origini del suo pensiero, che pur superando almeno a parole il post-human resta profondamente ancorato alla disumanizzazione anti-naturalista: «Anche se continuo a nutrirmi del lavoro generativo inscritto in quel percorso, queste creature fibrose e tentacolari mi hanno reso insoddisfatta del postumanesimo. È stato il mio compagno Rusten Hogness a suggerirmi di sostituire il compost al postuman(esim)o, e l’humusità all’umanità (…) se solo potessimo sbriciolare e sfilacciare l’umano in quanto Homo, questa fantasia malata di un amministratore delegato perennemente intento ad autorealizzarsi e a distruggere il pianeta!» (Chthulucene, p. 54) Che il termine stesso di homo derivi da humus pare non interessare alla saccente accademica della supercazzola che, teorizzando una sorta di post-cibernetica, parte dalle sue radici storiche per aggiornarla e farla aderire alle nuove narrazioni pseudo-contestatarie. Haraway abbandona così i vecchi sistemi autopoietici – unità autonome che si «autoproducono» dotate di «confini spaziali e temporali autodefiniti che tendono al controllo centralizzato, all’omeostasi e alla prevedibilità» (Beth Dempster, A Self-Organizing Systems Perspective on Planning for Sustainability, tesi di laurea, Environmental Studies, University of Waterloo 1998) – per sostituirli con quelli simpoietici, concetto suggeritole da Beth Dempster, ovvero sistemi evolutivi che producono in maniera collettiva e non hanno confini spazio-temporali, in cui «l’informazione e il controllo sono distribuiti tra tutti i componenti». (Chthulucene, p. 54)

Non contenta, Haraway prende in prestito da Margulis il concetto di olobionte (Margulis, “Symbiogenesis and Symbionticism”, in Symbiosis as a Source of Evolutionary Innovation: Speciation and Morphogenesis, MIT Press 1991), per sottolineare non tanto l’impossibilità di ogni specie di vivere separata dalle altre e in particolare da quelle con cui sviluppa una profonda simbiosi, quanto la fine della separazione tra le specie. «Siamo humus, non Homo, non Antropos; siamo compost, non postumani. (…) Nello specifico, a differenza dell’Antropocene e del Capitalocene, lo Chthulucene è fatto di storie multispecie in via di svolgimento, di pratiche del con-divenire in tempi che restano aperti, tempi precari, tempi in cui il mondo non è finito e il cielo non è ancora crollato. (…) A differenza del dramma che domina il discorso dell’Antropocene e del Capitalocene, nello Chthulucene gli esseri umani non sono gli unici attori rilevanti; gli altri esseri non sono mere comparse che si limitano a reagire.» (Chthulucene, p. 85) All’orizzonte, si dissolve ogni differenza tra naturale e artificiale e si dichiara compiuto il passaggio all’ibridazione antropo-tecnologica: la nuova creatura sarà un cyborg biologico, magari anche equo e sostenibile.

Ma al di là dello sfoggio di acrobazie linguistiche, il progetto dei postumani compostati – purtroppo, non ancora rottamati – si è palesato in tutta la sua coerenza durante l’operazione pandemica, quando le schiere intersezionaliste si sono allineate al terrorismo scientista e hanno sostenuto reclusioni e distanziamenti, disinfestazioni e vaccinazioni. In un’intervista dell’estate del 2020 Haraway getta la mascherina e sforzandosi di non adoperare le categorie di opposizione binaria – tecnologia e natura – va dritta al sodo: «la tecnologia della “t” maiuscola ha lo stesso problema della scienza della “s” maiuscola: quindi tecnologie, lavoro tecnologico, know-how tecnologico, indagine tecnologica, sai, preziose conoscenze acquisite in lunghi periodi di tempo che davvero non vogliamo perdere. Direi che come fare un buon vaccino è un buon esempio. Questa non è esattamente una questione loro e nostra, anche se è vero che la produzione di vaccini è molto costosa e che lo stato ha rinnegato il suo obbligo, non solo negli Stati Uniti ma in molti luoghi, di assumersi la responsabilità della salute pubblica e dei suoi apparati, compreso lo sviluppo del vaccino e lo sviluppo del vaccino per chi e che tipo di canali di distribuzione. (…) Lo sviluppo di vaccini e lo sviluppo di farmaci richiedono le ultime novità in fatto di tecnologia digitale, tecnologia molecolare, tecnologia dei materiali. Supponiamo che tu voglia sviluppare vaccini resistenti al calore, in modo che possano essere davvero distribuiti in modo sicuro e ampiamente in tutto il mondo dagli operatori sanitari locali. Non vuoi avere bisogno di refrigerazione. Puoi immaginare la schiera di lavoratori tecnologici che vuoi concentrare su questi problemi, ma se sono concentrati su questi problemi pensando a loro solo in modi tecnici, potrebbero benissimo perdere il conto o non sapere in primo luogo, su come le popolazioni vivono in relazione ai patogeni, su come le popolazioni umane si relazionano ai patogeni e su come i patogeni entrano in diverse popolazioni umane in modo diverso. Il COVID-19 è di nuovo un ottimo esempio di chi è suscettibile e chi è esposto. Entrambi sono razzialmente differenziati e differenziati per classe in modi che non puoi perderti oggi. I nativi americani, i latini e i neri muoiono a più del doppio rispetto agli anglosassoni negli Stati Uniti di malattia COVID-19. Quindi, vaccini, certo! Ma perché certi gruppi, certe popolazioni umane, interagiscono con i patogeni in modo diverso dagli altri? Bene, questa è una questione politica, oltre che biologica, e culturale, e storica.» (“In the Heart of the Storm: An Interview with Donna Haraway – Part 1: Species-Being in the Age of Climate Change, Coronavirus, and Capitalism”, intervista di Katherine Bryant e Erik Wallenberg , in Bio-Politics, Vol 23, n° 3, 2020)

Se il sottotitolo della traduzione italiana di Chthulucene è per l’appunto “sopravvivere su un pianeta infetto” (il libro in realtà in inglese era intitolato Staying With the Trouble, qualcosa come restare accanto, o meglio coabitare, con il problema), ora capiamo cosa si intende: la supposta armonia delle specie è in realtà una presa per il culo e funziona soltanto quando fa comodo alla specifica narrazione. La convinzione che il presunto virus sia piombato sugli umani a causa dello spillover – unita al falso assunto secondo cui i popoli più deboli avrebbero patito maggiormente la mortalità virale – colloca i postumani al gusto di humus nel novero dei nemici dell’umanità libera e sottolinea una volta di più il loro ruolo cruciale nell’attuale antropocidio. Che personaggi simili, assieme alle loro idee, possano non sopravvivere all’infezione generalizzata dell’acrazia.

Donna Haraway, la natura e paura – Tra questi animali non umani, uno solo non è un peluche artificiale: indovina chi! (Soluzione in fondo alla puntata)

 

 

Sommario 5.26

  • Introduzione con Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS
  • La Nave Dei Folli presenta: FUTURO ONNIPRESENTE – Spunti di riflessione su limiti e possibilità della resistenza all’avvenire cibernetico nell’epoca del totalitarismo scientista  (dicembre 2023) – QUINDICESIMA PARTE Puntate complete
  • Fine del mondo – da Jakob Van Hoddis. Fine del mondo (Gratis edizioni, 2024)

 

Riferimenti 5.26

  • Richard H. Kirk, Neuroscience (Neuroscience, 2009)
  • Alfonso Cuarón, I figli degli uomini (2006)
  • Machina Amniotica, East Jinx_live! (28 ottobre 2017 – Ex-Manifattura Tabacchi, Cagliari)
  • Lisa Gerrard & Pieter Bourke, The Human Game (Duality, 1998)
  • Coil, I Am the Green Child (Constant Shallowness Leads to Evil, 2000)
  • Machina Amniotica, Grantchester Meadows (The Body, 2003)
  • Moby, Like a Motherless Child (Everything Was Beautiful, and Nothing Hurt, 2018)
  • Lisa Gerrard & Pieter Bourke, Pilgrimage of Lost Children (Duality, 1998)
  • Limbo, High Resolution Holocaust + Dominio e Sottomissione (Evirazione Totemica Seriale, 1993)
  • Nurse With Wound & Faust, Lass Mich (Disconnected, 2007)
  • MC5, Future/Now (High Times, 1971) – TESTO

SOLUZIONE: la teiera sulla panchina.