Episodio 4.25
Donna Haraway chiarisce senza mezzi termini quali sono gli ambiti in cui dichiarare guerra all’umano. Nella prospettiva di questa sedicente femminista, adottata in seguito da quasi tutta la sinistra moderata-mente e radical-mente scientista, si dovrebbe annichilire tanto l’origine quanto il destino biologico dell’antropos terrestre, sbarazzandosi di inutili fardelli quali i caratteri sessuali, intrinsecamente ingiusti, il radicamento al mondo e l’incarnazione corporea. «Il cyborg è una creatura di un mondo post-genere: non ha niente da spartire con la bisessualità, la simbiosi pre-edipica, il lavoro non alienato o altre seduzioni di interezza organica ottenute investendo una unità suprema di tutti i poteri delle parti. (…) un sé supremo finalmente libero da ogni forma di dipendenza, un uomo nello spazio.»
Le contraddizioni insite nel punto di vista suo e delle altre voci anti-umane sono schivate come al solito con estrema facilità e superficialità. Se Haraway ammette che «i cyborg sono figli illegittimi del militarismo e del capitalismo patriarcale, per non parlare del socialismo di stato», il problema si risolve a suon di contro-narrazioni: basta dirlo, e crederci, e si risolve tutto. «Ma i figli illegittimi sono spesso estremamente infedeli alle loro origini: i padri, in fondo, non sono essenziali.» Peccato che per la corrente post-umana, tesa allo sviluppo del concepimento in provetta e cullando il sogno dell’ectogenesi, nemmeno la madre sia più necessaria.
Ma quali sono i pilastri su cui si fonda l’approccio disumanizzante, cosa ha reso possibile «questa analisi fantapolitica (politico-scientifica)»? Secondo Haraway si tratta di tre cruciali cedimenti di confine. In primo luogo quello tra animale e umano, abbattuto ripetutamente nella cultura scientifica americana della fine del Ventesimo secolo. Poi, «la seconda distinzione che non regge è quella tra organismo (animale e umano) e macchina. (…) Le macchine di questa fine secolo hanno reso totalmente ambigua la differenza tra naturale e artificiale, mente e corpo, autosviluppo e progettazione esterna nonché molte altre distinzioni che si applicavano a organismi e macchine. Le nostre macchine sono fastidiosamente vivaci, e noi spaventosamente inerti.»
Infine, abbattuto proprio negli anni ’80 in cui scriveva Haraway, dopo il lungo lavoro di erosione compiuto dalla cibernetica a partire dal secondo dopoguerra, il terzo confine è quello tra fisico e non fisico, che perciò non è più tracciabile con precisione, dato che «le macchine moderne, congegni micro-elettronici quintessenziali, sono ovunque, e sono invisibili». Con i computer e le altre creature informatiche si materializza il dominio del linguaggio, che da strumento di comunicazione è poco alla volta diventato codice della vita e stringa di comando. «Il chip di silicio è una superficie di scrittura; è inciso in scala molecolare, disturbato solo dal rumore atomico, interferenza estrema del nucleare. La scrittura, il potere e la tecnologia sono vecchi compagni nei racconti occidentali sulle origini della civiltà, ma la miniaturizzazione ha cambiato la nostra esperienza del meccanismo. La miniaturizzazione si è dimostrata collegata al potere: non è che piccolo è bello, quanto che soprattutto è pericoloso, come un missile Cruise.» (Donna Haraway, Manifesto Cyborg, pp. 41-45)
Per quanto si sforzi di mettere in discussione tutte le dicotomie, «tra mente e corpo, animale e umano, organismo e macchina, pubblico e privato, natura e cultura, uomini e donne, primitivo e civilizzato» (p. 76) il discorso post-umano di sinistra di Haraway poggia su una potente ambiguità, un’ambivalenza o doppia visione. Queste trasgressioni dei confini, le potenti fusioni e le rischiose possibilità che si aprono di fronte ai progressisti grazie allo sviluppo forsennato delle nuove tecnologie, potrebbero condurre in due distinti “mondi cyborg”. Da un lato «l’imposizione finale di una griglia di controllo sul pianeta, l’astrazione finale incarnata in una Guerra stellare apocalittica di “difesa”, l’appropriazione finale del corpo delle donne in un’orgia di guerra maschilista», ma da un altro «il vivere realtà sociali e corporee in cui le persone non temano la loro parentela con macchine e animali insieme, né identità sempre parziali e punti di vista contraddittori». (p. 46)
Non vediamo grande differenza tra questi due mondi. Non resta loro che illudersi di opporsi al dominio capitalista e maschilista che denunciano e sognare «una sorta di società cyborg, dedicata a riconvertire realisticamente i laboratori che rappresentano e vomitano con orgoglio gli strumenti dell’apocalisse tecnologica, e impegnata a costruire una forma politica che riesca realmente a tenere insieme le streghe, gli ingegneri, gli anziani, i pervertiti, i cristiani, le madri e i leninisti abbastanza a lungo da disarmare lo stato.» (p. 76)
La corrente cyber-femminista, che dai laboratori del pensiero, le università, è sfuggita nel reale, oggi si diffonde come un virus tanto nelle alte sfere sociali quanto in ambiti più marginali, infettando le nuove generazioni affasciante da questa possibilità di “riscrittura” delle proprie catene in ali fatate. La linea è stata tracciata: da un lato il cyborg, «sorta di sé postmoderno collettivo e personale, disassemblato e riassemblato», dall’altro umani in carne e ossa che ancora credono nell’autonomia dell’organico e rifiutano di piegarsi al ricatto che vorrebbe convincerli che le «tecnologie della comunicazione e le biotecnologie sono gli strumenti principali per ricostruire i nostri corpi.» (pp. 57-58)
Sommario 4.25
- Introduzione
- Covid, pandemia finita? (Podcast Adkronos, 5/5/3023)
- HOMO TECHNOLOGICUS – Utero in affitto, surrogazione di maternità: dalla vita carnale alle piastrine dei laboratori – La fiera del bebè – 5a PARTE – TESTO
- L’uccello del malaugurio (Piero Angela da Lucia Annunziata, Mezz’ora in più, 19/12/2021)
- Il ruolo delle immagini nelle guerre contemporanee – Parte 2: Guerrevisioni) – TESTO
- L’uccello del malaugurio bis
Riferimenti 4.25
- Mamoru Oshii, Ghost In The Shell (1995)
- Kenji Kawai, Ghost In The Shell – Opening Theme (Live Tokyo, 2017)
- Kenji Kawai, Ghost In The Shell (Cinema Symphony, Live 2007)
- Pandemic, It’s A Tough Beat (Tuff Mix) (Slammin, 1991)
- Primordia, Mother Love II (The Gleaming Eye, 1993)
- Agonije, Stirpe crudele (parte 1) + Orgasme du temps (Tecnologie del movimento, 1991)
- Pink Floyd, Intro (Live at Pompei, 1972)
- Domenico Bini, L’uccello del malaugurio (2022)
- Camille Saint-Saëns, Danse macabre, Op. 40 (Charles Dutoit & Philharmonia Orchestra, 1981)
- Rafael Anton Irisarri, Wither (Daydreaming, 2009)
- Fripp & Eno, Terebellum (The Equatorial Stars, 2004)
- Domenico Bini, Sta andando tutto male (2019)
- Sergej Rachmaninoff, L’isola dei morti, Op. 29 (Mikhail Pletnev & Russian National Orchestra, 2000)